Nel 1987, il governo indiano proclamò il 28 febbraio come Giorno Nazionale della Scienza, una data scelta per celebrare la scoperta scientifica di C.V. Raman, il cui effetto omonimo gli valse il Premio Nobel per la fisica. Questa iniziativa, proposta dal primo ministro Rajiv Gandhi, mirava a sensibilizzare il popolo indiano verso la scienza, per allontanarlo dalle superstizioni radicate e prepararlo al cambiamento che avrebbe portato il ventunesimo secolo. La cerimonia di inaugurazione di tale giorno fu seguita da una mia conferenza, dove ebbi modo di osservare da vicino il fervore con cui le autorità politiche trattavano la questione scientifica.

A quell'epoca, notai un aspetto importante: il ministro delle Risorse Umane, P.V. Narasimha Rao, nella sua emozionante orazione, sollevò una questione cruciale. Perché tanti scienziati brillanti lasciavano l'India per proseguire la loro carriera all'estero? Non sarebbe stato possibile creare condizioni che li invogliassero a rimanere nel paese? Queste parole mi colpirono profondamente. Sentivo che la consapevolezza dei leader politici sull’importanza degli scienziati avrebbe potuto cambiare il destino di molte carriere scientifiche in India, migliorando la qualità del lavoro e delle condizioni di vita per chi si dedicava alla ricerca.

Il mio intervento fu più modesto, ma richiamai l'esempio delle conferenze di Raman, famoso per la sua capacità di attrarre l'attenzione del pubblico con la sua capacità oratoria. Raccontai aneddoti che spiegavano in modo semplice concetti scientifici complessi, come quello della colorazione del cielo, una delle domande più famose a cui Raman aveva risposto. Il mio intento era rendere la scienza più accessibile a tutti, e a giudicare dall'affluenza crescente nelle serate successive, sembrava che avessi raggiunto il mio obiettivo. Questo evento fu un’occasione memorabile, ma dietro le quinte si nascondeva una realtà che non si poteva ignorare.

Nel frattempo, alcuni colleghi del TIFR (Tata Institute of Fundamental Research) mi chiesero di intervenire per facilitare l'ammissione dei loro figli in una scuola centrale locale. Qui si presentava un altro problema: l'ammissione alle scuole era prioritaria per il personale navale, e non per i ricercatori. Decisi quindi di scrivere al Ministro Narasimha Rao, chiedendo l’introduzione di una piccola quota di posti riservati per i figli degli scienziati. In fondo, le sue parole sul miglioramento delle condizioni di vita per i ricercatori avrebbero dovuto tradursi in azioni concrete. Ma dopo l'invio della lettera, non arrivò nemmeno una risposta. Nonostante il tempo passasse e l'ammissione fosse imminente, il silenzio delle autorità era totale.

Alla fine, scrissi una lettera finale, più aspra e priva di formalità. Se nemmeno un membro del Consiglio Scientifico del Primo Ministro veniva preso in considerazione, allora quali speranze avevano gli altri scienziati? Quella lettera provocò una risposta, ma si trattò solo di un semplice riconoscimento del ricevimento, senza alcuna azione concreta. Il problema rimase irrisolto, a dimostrazione che la distanza tra la retorica politica e la realtà quotidiana degli scienziati in India era enorme.

In un altro episodio, più personale, mi trovai a riflettere su un invito che avevo ricevuto da una università di Marathwada per un evento accademico. Nonostante avessi preso una decisione di evitare eventi ufficiali e cerimonie formali, questa volta l'invito mi incuriosì. Non era solo un invito a presiedere una cerimonia, ma qualcosa che mi sembrava un po' più speciale, e mi spinse a riflettere sul valore di certi gesti, anche se simbolici, per la comunità scientifica. La scienza, infatti, ha il potere di stimolare anche la crescita culturale, non solo accademica, ed è importante che eventi del genere siano vissuti come occasioni di crescita collettiva, più che come meri adempimenti formali.

Queste esperienze mi hanno portato a una conclusione che vorrei condividere: le parole, anche quelle di chi ha il potere di cambiare le cose, sono solo il primo passo. Senza un seguito, senza un vero impegno per affrontare i problemi concreti degli scienziati, rischiano di rimanere vuote. Tuttavia, nonostante le difficoltà, la scienza continua ad avanzare, e ogni passo verso una maggiore consapevolezza pubblica è un piccolo passo verso il cambiamento.

Per il lettore, è importante comprendere che, mentre la scienza può sembrare un mondo lontano e distante, essa è intrinsecamente legata alla vita quotidiana di ogni individuo. La scienza è fatta di persone, di scelte politiche e sociali, e soprattutto di quella passione che spinge gli scienziati a dedicarsi alla ricerca, a volte in condizioni difficili. La politica scientifica, le condizioni di vita e di lavoro degli scienziati, e la consapevolezza pubblica sono tutti fattori che influiscono sulla qualità della ricerca e sul suo impatto sulla società.

Qual è la vera natura dell'universo e come dovremmo interpretare le sue anomalie?

La cosmologia, come disciplina scientifica, ha attraversato una serie di trasformazioni nel corso degli anni, dalla sua nascita ad oggi. Inizialmente, gli astronomi e i fisici si sono affidati alle leggi della fisica ben testate in laboratorio per spiegare fenomeni cosmici, come la nascita e l'evoluzione delle stelle e delle galassie. Tuttavia, la cosmologia, diversamente da altre aree della fisica, si trovava di fronte a un problema fondamentale: le leggi fisiche erano state verificate solo in condizioni di energia molto inferiori rispetto a quelle che avremmo incontrato esplorando le fasi iniziali dell'universo. Per esempio, i moderni acceleratori di particelle possono portare un protone a energie di circa 1000 GeV, ma la fisica che avrebbe dovuto spiegare il comportamento delle particelle vicino al Big Bang avrebbe richiesto energie dieci trilioni di volte superiori. E non c’erano osservazioni dirette che potessero confermare le teorie su questi livelli energetici estremi.

Nel contesto delle osservazioni cosmologiche, il limite pratico dell'osservazione è rappresentato dalla barriera della "luminosità oscura" del cosmo. Man mano che guardiamo più lontano nel cielo, vediamo il passato dell'universo, ma, oltre una certa distanza, la luce si disperde a causa della densità degli elettroni. Questa limitazione crea un "velo" che ci impedisce di osservare direttamente l'universo nelle sue prime fasi, quelle che precedono la formazione di strutture come stelle e galassie.

Così, purtroppo, non siamo in grado di osservare in modo diretto l'universo all'epoca del Big Bang, e ciò lascia molte domande senza risposta. Nonostante questa sfida, gli astronomi sono rimasti determinati a cercare risposte e spiegazioni alternative, soprattutto dopo che alcune osservazioni erano state fatte da scienziati come Chip Arp. Arp aveva documentato una serie di fenomeni cosmici, in particolare galassie con caratteristiche peculiari, che sfidavano la spiegazione standard del modello dell’universo in espansione. Queste anomalie osservate non potevano essere spiegate dal modello consolidato del Big Bang, e per questo motivo erano ritenute necessarie delle nuove teorie che non fossero puramente speculative, ma che affrontassero anche queste irregolarità.

Il dibattito su questi temi portò alla pubblicazione di un articolo su Nature, la rivista scientifica di prestigio, che esprimeva una visione alternativa sullo stato dell'universo. Tuttavia, la reazione da parte della comunità scientifica fu contrastante. Mentre alcuni accettarono che fossero necessarie nuove prospettive, altri reagirono in modo aggressivo, difendendo a spada tratta il modello del Big Bang. L’opposizione proveniva in gran parte da coloro che, pur riconoscendo le anomalie, erano comunque convinti che il modello in espansione fosse l’unico valido per spiegare l’universo. Secondo questa visione, le anomalie osservate avrebbero finito per essere spiegate da tecniche di osservazione più avanzate, e, fino ad oggi, non esiste un altro modello teorico che fornisca una spiegazione credibile dell’universo.

Tuttavia, il contesto era e continua ad essere dominato da una sorta di "ciclo vizioso", dove chi desidera proporre alternative alle teorie tradizionali spesso si trova ostacolato, sia nella ricerca che nel finanziamento delle proprie idee. Per questo motivo, l'avanzamento di modelli alternativi, tra cui la cosmologia Quasi-Steady State (QSSC), che propone un universo senza un inizio definito ma in continua espansione e contrazione, è stato rallentato. Il modello QSSC, ideato da Fred Hoyle, Geoffrey Burbidge e altri, suggerisce che la creazione di materia nell'universo non avvenga solo nel Big Bang, ma attraverso piccoli eventi di "minicreazione" che avvengono ciclicamente. Un modello simile non è certo esente da critiche, ma offre una prospettiva che diverge notevolmente da quella del Big Bang, ponendo interrogativi nuovi sulla natura stessa dell'universo.

Nonostante il modello QSSC non abbia ottenuto una risposta entusiastica dalla comunità scientifica, ha avuto il merito di stimolare il dibattito e di mantenere vivo lo scetticismo. Questo scetticismo è importante, in quanto evita che la cosmologia si fermi a una verità presunta, che non ammette alternative. Oggi, alcuni studiosi continuano a sostenere la necessità di esplorare nuovi orizzonti teorici, anche se la maggior parte degli scienziati rimane ferma nelle convinzioni del Big Bang.

Oltre a conoscere i dettagli teorici di questi modelli, è fondamentale comprendere che la scienza cosmologica è un campo in continua evoluzione, dove le risposte a domande fondamentali non sono ancora definitive. Molti dei concetti che oggi sembrano indiscutibili potrebbero essere, tra qualche decennio, rivisitati e ridefiniti. Non solo la cosmologia, ma tutte le scienze devono restare aperte alle sfide intellettuali, ai dubbi e alle nuove idee, anche quando queste sfidano l’ortodossia. Per fare questo, è necessario che i ricercatori siano liberi di esplorare vie alternative senza il timore di essere esclusi o emarginati per aver osato mettere in discussione le idee dominanti.

La preparazione per Cambridge: sfide e aspirazioni

I miei genitori, convinti che io fossi ormai addormentato, erano immersi in una conversazione di cui mi sarebbe stata svelata più tardi la sostanza. Mia madre, con una punta di disappunto, esprimeva il suo rammarico per il fatto che, essendo ormai fuori da Banaras, non avesse visto alcun annuncio speciale riguardante il mio nome sul giornale locale. Questo giornale, di norma, pubblicava un articolo con la fotografia ogni volta che un giovane della città conseguiva un risultato accademico o sportivo degno di nota. Mio padre rispose: "Non ti preoccupare! Sono certo che ci saranno molte occasioni nella vita di Jayant in cui vedremo il suo nome sul giornale." Non so se questa risposta abbia soddisfatto mia madre, ma a me diede un'incredibile spinta di autostima, perché Tatyasaheb, mio padre, era solito fare elogi solo quando strettamente necessario. Tuttavia, sapevo che Banaras era un terreno di prova più morbido: la vera sfida sarebbe arrivata a Cambridge.

Durante l'era coloniale, quando mio padre aveva ottenuto il primo posto nella lista dei laureati in B.Sc. all'Università di Bombay, le principali opzioni di carriera per un indiano in cerca di un'istruzione superiore erano, da un lato, il Servizio Civile Indiano, che offriva ruoli prestigiosi nell'amministrazione del paese, e, dall'altro, le posizioni nell'educazione e nella ricerca nelle università e nei collegi indiani. Per chi era abbastanza ambizioso da ampliare i propri orizzonti educativi, esistevano i centri accademici d'eccellenza in Gran Bretagna e in Europa. L'attrazione per gli Stati Uniti non era ancora emersa. Nei miei anni, cioè a metà degli anni '50, questa opzione stava iniziando a guadagnare terreno, poiché la possibilità di ottenere una borsa di studio interamente finanziata in un'università americana sembrava più alta rispetto a quella di una università europea. Tuttavia, il Regno Unito, e in particolare Oxbridge (il termine che fonde Oxford e Cambridge), era ancora considerato la Mecca per i giovani aspiranti. Nel mio caso, la scelta di Cambridge era stata quasi automatica. Ero interessato ad ottenere una laurea in matematica di alto livello, e il Cambridge Mathematical Tripos era considerato (e lo è ancora!) l'esame più difficile da superare.

Ai tempi di mio padre, l'intero percorso culminava con il Part II, Schedule A come primo passo, seguito dal Part II, Schedule B l'anno successivo. Chi non fosse interessato alla ricerca si fermava al primo passo. Superare questo esame dava diritto alla laurea in Cambridge Bachelor of Arts (B.A.), mentre chi otteneva il primo posto veniva chiamato "Wrangler". Allo stesso modo, coloro che superavano il Schedule B con distinzione ottenevano la qualifica di B Star. Mio padre aveva completato il Tripos in un percorso accelerato, impiegando solo due anni invece di tre, distinguendosi come B Star Wrangler. Per me, quindi, la mia prima (e quasi unica) scelta era Cambridge. "Quasi", perché come opzione di riserva avevo anche fatto domanda per Harvard e Oxford, quest'ultima per una borsa di studio Rhodes. Ero pronto a ritirare entrambe le domande non appena avessi ricevuto conferma da Cambridge.

A questo punto, quale era la mia visione per il futuro? La mia speranza era quella di superare con successo il Tripos, fare un dottorato di ricerca e tornare in India per un posto universitario in matematica. Anche mio padre aveva intrapreso lo stesso percorso a Cambridge, con l'intenzione di ottenere un dottorato. Tuttavia, i suoi professori, come Eddington e Smart, pur incoraggiando la ricerca, sconsigliavano di perseguirla con l'obiettivo di un dottorato. In quegli anni, la distinzione nella ricerca veniva misurata dalla qualità delle pubblicazioni scientifiche, non dal titolo di dottore di ricerca! Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in Inghilterra, le condizioni erano cambiate, e il titolo di dottorato era diventato un simbolo di rispetto, e in alcuni casi, una necessità.

Nel 1957, mio padre scrisse una lunga lettera per la mia ammissione a Cambridge. All'epoca, le domande per le università di Oxford e Cambridge venivano solitamente inviate tramite il Dipartimento dell'Istruzione della Commissione Indiana di Londra. La lettera che accompagnava la mia domanda era indirizzata a Smt Vijayalakshmi Pandit, Alto Commissario dell'India, e doveva essere inoltrata all'ufficio dell'educazione, sotto la responsabilità di un certo Mr. S.G. Sathaye. In quella lettera, mio padre aveva espresso una preferenza per l'ammissione a college prestigiosi come Trinity o St John's, che vantavano numerosi luminari matematici tra i loro membri. Tuttavia, aveva anche dichiarato che, se fossi stato ammesso al suo stesso collegio, il Fitzwilliam House, ne sarebbe stato comunque felice.

Fitzwilliam House, a differenza dei college tradizionali, non era una "collegiale" a pieno titolo, ma una struttura non collegiale istituita dall'Università, dove agli studenti venivano offerte solo sistemazioni e pasti, ma senza il tipico corpo docente che avrebbe contribuito alla formazione accademica. Sebbene mio padre fosse molto legato alla sua istituzione, preferiva che io avessi l'opportunità di vivere in un collegio tradizionale, per godere della vita comunitaria che offriva.

Dopo alcune difficoltà iniziali, che sembravano precludere l'opportunità di andare a Cambridge, arrivò una risposta positiva da Fitzwilliam House, confermando la mia ammissione. Questa buona notizia mi apriva la strada per il mio futuro accademico.

Nel 1957, i costi per frequentare Cambridge si aggiravano intorno alle £600-650 all'anno, circa ₹8000-9000, una somma significativa dato che lo stipendio di mio padre come professore era di circa ₹1250 al mese. Questo comportava un notevole sacrificio economico per la nostra famiglia, ma mio padre non esitò a fare tutto il necessario per permettermi di seguire il mio sogno.

L'importanza di comprendere come e perché alcuni giovani, provenienti da famiglie che magari non avevano risorse illimitate, si siano spinti oltre i confini fisici e culturali, ha un valore fondamentale. Non si trattava solo di un'ambizione individuale, ma di un'intera filosofia educativa, che non solo spingeva a perseguire il sapere, ma a farlo in contesti che portassero alla crescita e all'emancipazione. I percorsi accademici, in particolare in università di prestigio come Cambridge, non erano solo una questione di preparazione accademica, ma un vero e proprio atto di coraggio, di apertura mentale e di disponibilità ad affrontare l'ignoto per migliorarsi e contribuire al progresso della società.

La teoria dello stato stazionario e le sfide della cosmologia: Un'analisi approfondita

Il concetto di "stato stazionario" è una delle teorie più dibattute nella cosmologia, e la sua genesi è legata a tre pionieri del pensiero cosmologico: Fred Hoyle, Hermann Bondi e Thomas Gold. La teoria dello stato stazionario sostiene che l'universo è infinito, senza inizio né fine, e si espande in modo continuo e costante. Un punto fondamentale della teoria è che la densità dell'universo rimane invariata nel tempo, nonostante l'espansione. Questo potrebbe sembrare un paradosso, in quanto l'espansione di un sistema dovrebbe comportare una diminuzione della densità. Tuttavia, secondo la teoria, per mantenere una densità costante, materia nuova verrebbe creata in modo continuo, compensando la dispersione di quella esistente.

Un’analogia utile per comprendere meglio la teoria dello stato stazionario è quella dell’interesse composto. Immagina un capitale investito in una banca che offre un tasso fisso di interesse. Ogni volta che l’interesse si accumula, esso viene aggiunto al capitale principale, facendo crescere sia il capitale che l’interesse. In modo simile, l’universo sarebbe in espansione, ma la materia continua a essere creata, mantenendo costante la densità complessiva.

In contrasto con la teoria dello stato stazionario, la teoria del Big Bang sostiene che l'universo abbia avuto un inizio ben definito, un'esplosione primordiale che ha dato origine a tutta la materia e l'energia che osserviamo oggi. Secondo il modello del Big Bang, l’universo si espande da un punto iniziale di densità infinita, e la sua densità diminuisce man mano che l'universo si espande. Le implicazioni delle due teorie sono molto diverse, ma entrambe cercano di spiegare la natura e l'origine dell'universo in modo coerente con le osservazioni.

Una delle principali sfide per testare queste teorie è la misurazione della densità dell’universo nel tempo. Un gruppo di astronomi radioastronomi, sotto la guida del professor Martin Ryle, ha cercato di testare la teoria dello stato stazionario attraverso l'osservazione delle galassie radio-emittenti a grande distanza. Queste galassie, più lontane e quindi più vecchie, avrebbero dovuto mostrare un certo comportamento, se la teoria dello stato stazionario fosse corretta. Ryle e il suo gruppo avevano osservato che la densità di queste galassie aumentava man mano che si andava più indietro nel tempo. Questo risultato sembrava suggerire che l’universo fosse più denso in passato, come previsto dalla teoria del Big Bang, e non dalla teoria dello stato stazionario.

Il contrasto tra le due teorie divenne pubblico durante una conferenza stampa, alla quale partecipò anche Hoyle. Sebbene il suo intervento fosse destinato a rispondere alle affermazioni di Ryle, Hoyle si trovò in una posizione difficile. Non aveva accesso ai dati su cui si basavano le osservazioni di Ryle, e quindi non poteva preparare una risposta adeguata. La sua presenza alla conferenza stampa si rivelò una mossa tattica sbagliata, poiché i giornali pubblicarono articoli in cui si affermava che Ryle aveva scoperto l’origine dell'universo, dando poco spazio alla replica di Hoyle.

Nonostante questa difficoltà iniziale, il vero confronto tra le due teorie si sarebbe svolto al Royal Astronomical Society (RAS), dove Ryle doveva presentare i suoi dati. Qui, Hoyle chiese aiuto a un giovane ricercatore, me, per lavorare a un modello matematico che potesse spiegare i dati di Ryle, all'interno del contesto della teoria dello stato stazionario. La difficoltà maggiore era che Ryle era estremamente riservato riguardo ai dati e non forniva alcuna informazione sui metodi utilizzati per ottenere quei risultati. Questo rendeva impossibile un’analisi approfondita della loro validità. Tuttavia, nonostante queste limitazioni, cercammo di sviluppare un modello basato su due ipotesi principali. La prima era che l’universo fosse eterogeneo su larga scala, estendendosi fino a 150 milioni di anni luce, e la seconda ipotesi suggeriva che la probabilità che una galassia diventasse una sorgente radio aumentasse con l'età della galassia stessa.

Nonostante i problemi legati all’accesso ai dati e alle difficoltà nel lavorare con informazioni incomplete, il nostro approccio cercava di rispondere ai problemi sollevati da Ryle in un modo che fosse coerente con la teoria dello stato stazionario, ma le conclusioni a cui giungemmo non furono sufficienti per dimostrare la validità di quella teoria di fronte alle evidenze emergenti.

L'importanza di questi sviluppi non risiede solo nel contrasto tra teorie rivali, ma anche nel metodo scientifico stesso. Le difficoltà incontrate da Hoyle e dai suoi collaboratori nel rispondere alle osservazioni di Ryle evidenziano la centralità dell’accesso ai dati e della trasparenza nelle osservazioni scientifiche. Una scoperta, per quanto affascinante, non può essere considerata conclusiva se non è supportata da dati completi e verificabili. La competizione tra teorie scientifiche non riguarda solo la qualità delle idee, ma anche la capacità di testarle in modo rigoroso e indipendente.

Le sfide che i cosmologi affrontano nell'indagare la natura dell'universo sono ancora oggi al centro del dibattito scientifico. Mentre la teoria del Big Bang ha acquisito un ampio consenso grazie a prove osservative come la radiazione cosmica di fondo, la teoria dello stato stazionario ha avuto un impatto duraturo sul modo in cui concepiamo l'evoluzione dell'universo. Questo confronto tra modelli scientifici ci insegna l'importanza di mantenere un approccio critico e aperto alle nuove evidenze, nonché di riconoscere che la scienza è un processo in continua evoluzione, in cui ogni risposta può generare nuove domande.