L'indice infiammatorio dietetico (DII) rappresenta una misura dell'effetto pro-infiammatorio della dieta sulla salute, derivato dall'assunzione di alimenti che promuovono o attenuano l'infiammazione. Numerosi studi hanno correlato un alto punteggio DII con l'aumento del rischio di diverse malattie, tra cui malattie cardiovascolari, diabete e cancro. In particolare, la relazione tra l'infiammazione cronica e la densità ossea ha suscitato grande attenzione, poiché l'infiammazione può influire direttamente sulla salute delle ossa, portando a osteoporosi e aumentando il rischio di fratture.
Studi recenti hanno suggerito che una dieta caratterizzata da un punteggio DII elevato può compromettere la funzione degli osteoblasti (le cellule responsabili della formazione ossea) e stimolare un'attività eccessiva degli osteoclasti (le cellule che distruggono il tessuto osseo). Questo squilibrio può portare a un indebolimento delle ossa, facilitando l'insorgere di osteoporosi, una condizione che aumenta la fragilità ossea e il rischio di fratture. Un'analisi su 11 studi ha confermato che un punteggio elevato di DII è quasi certamente associato a una riduzione della densità ossea, con un impatto negativo sulla salute scheletrica generale.
Il DII, quindi, non solo rappresenta un indicatore dell'infiammazione sistemica, ma anche un parametro significativo nella previsione di patologie legate all'invecchiamento. L'infiammazione cronica, sostenuta da una dieta infiammatoria, è una delle principali cause di malattie degenerative, e ridurre il punteggio DII potrebbe contribuire a rallentare questi processi. Le implicazioni sono rilevanti non solo per la prevenzione di malattie muscolo-scheletriche, ma anche per la prevenzione di malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2 e alcuni tipi di cancro, condizioni tutte associate a un'infiammazione cronica.
Diversi approcci nutrizionali possono contribuire a ridurre l'infiammazione e quindi abbassare il punteggio DII. L'assunzione di alimenti ricchi di antiossidanti, come frutta e verdura, può contrastare gli effetti pro-infiammatori. Inoltre, l'inclusione di grassi sani, come quelli contenuti nell'olio d'oliva e nelle noci, potrebbe avere un effetto positivo sulla riduzione del DII. È fondamentale quindi che la dieta non solo favorisca il controllo del peso e il miglioramento della funzione metabolica, ma anche il miglioramento della salute ossea, attraverso il bilanciamento degli alimenti che influenzano l'infiammazione.
Accanto alla dieta, l'attività fisica gioca un ruolo cruciale nel mantenimento della densità ossea. L'esercizio fisico, soprattutto quello di carico, stimola la formazione ossea e migliora la resistenza ossea. In combinazione con un'alimentazione adeguata, l'attività fisica rappresenta una delle strategie più efficaci per contrastare l'osteoporosi e le sue complicanze.
Inoltre, la comprensione della relazione tra dieta e infiammazione offre importanti spunti per la prevenzione primaria di molte malattie croniche. L'associazione tra il DII e il rischio di mortalità per tutte le cause, oltre che per specifici tipi di cancro, mette in evidenza l'importanza di adottare una dieta antinfiammatoria come parte di uno stile di vita sano. In futuro, l'analisi più approfondita dei metodi per ridurre l'infiammazione tramite la dieta potrà contribuire alla prevenzione e al trattamento di malattie croniche, non solo migliorando la qualità della vita, ma anche prolungandola.
Infine, è importante ricordare che la ricerca sul DII e sul suo impatto sulla salute delle ossa è ancora in evoluzione. Sebbene gli studi esistenti abbiano mostrato risultati promettenti, sono necessari ulteriori approfondimenti per chiarire meglio le meccaniche precise attraverso cui la dieta influisce sul rischio di osteoporosi e altre malattie legate all'infiammazione. È essenziale che gli approcci nutrizionali siano adattati alle esigenze individuali, considerando vari fattori come la genetica, l'età e le condizioni di salute preesistenti, per ottenere i migliori risultati nella prevenzione delle malattie.
Dieta a Basso Contenuto di Sale e Anti-invecchiamento: Il Ruolo del Sale e dei Corpi Chetonici
Il consumo eccessivo di sale è stato a lungo associato a vari problemi di salute, in particolare all'aumento del rischio di ipertensione. Tuttavia, la sensibilità al sale, o la reattività della pressione sanguigna al consumo di sale, varia notevolmente tra gli individui. Questa variabilità è influenzata da fattori ambientali come l'invecchiamento, la malnutrizione e lo stress, così come da fattori genetici. Negli adulti, l'obesità è spesso correlata con una sensibilità al sale. Recenti ricerche suggeriscono che anche la dieta di una madre durante la gravidanza possa influenzare la predisposizione dei suoi figli a sviluppare ipertensione sensibile al sale e altre patologie come il diabete e l'obesità.
In particolare, studi condotti su topi alimentati con diete povere di proteine hanno evidenziato che queste condizioni possono portare a modificazioni epigenetiche, come la metilazione del DNA del gene del recettore dell'angiotensina II, che può portare a una sovraespressione di recettori ipotalamici, aumentando l'attività nervosa simpaticomimetica nei reni e favorendo lo sviluppo di ipertensione sensibile al sale.
Un aspetto interessante è l'uso di sali alternativi, come il cloruro di potassio (KCl), che possono ridurre il sodio senza compromettere il gusto salato degli alimenti. Quando meno del 30% del sale da tavola viene sostituito da KCl, la maggior parte delle persone non percepisce differenze significative nel sapore rispetto al sale normale. L'uso di sale alternativo è stato associato a una riduzione significativa degli eventi cardiovascolari e dell'incidenza di ictus in studi di coorte, con una riduzione della mortalità totale di circa il 12% rispetto all'uso di sale normale. Inoltre, l'impatto di questa riduzione del sale è stato paragonato ai risultati del noto studio SPRINT, che ha modificato le linee guida per il trattamento dell'ipertensione.
Un altro aspetto interessante riguarda l'effetto dei sali alternativi sulla salute renale e cardiovascolare. Sebbene l'uso di KCl in sostituzione del NaCl possa sembrare vantaggioso, è essenziale considerare che un eccesso di potassio può comportare rischi, come l'iperkaliemia, che sebbene non fosse significativamente differente nei gruppi trattati con sale alternativo rispetto a quelli con sale regolare, deve comunque essere monitorata, specialmente nei soggetti con problematiche renali preesistenti.
L'invecchiamento è un altro fattore che contribuisce alla sensibilità al sale. Nei modelli murini di invecchiamento, è stato osservato che la produzione di klotho, una proteina con effetti anti-invecchiamento, diminuisce nei reni a causa della metilazione del promotore del gene che la codifica. Questo indebolimento del sistema di difesa anti-invecchiamento rende i soggetti anziani più suscettibili agli effetti negativi del consumo eccessivo di sale, come l'attivazione della via Wnt5a-RhoA, che aumenta la resistenza vascolare periferica e riduce il flusso sanguigno renale.
Accanto alla riduzione del sale, l'adozione di diete specifiche, come quella chetogenica, sta guadagnando attenzione per il suo potenziale nel rallentare i processi di invecchiamento. In una dieta chetogenica, il consumo di carboidrati è limitato a meno di 50 g al giorno, mentre il 60-80% dell'energia proviene dai grassi. Questo cambiamento nel macronutriente principale porta a un aumento della produzione di corpi chetonici, come l'acido β-idrossibutirrico (βOHB), che ha effetti benefici sul metabolismo e sulle funzioni cerebrali. In particolare, il βOHB sembra avere effetti epigenetici positivi, inibendo l'attività di enzimi come le deacetilasi istoni (HDAC), che sono implicati nell'invecchiamento e nella resistenza allo stress.
I corpi chetonici, attraverso la loro interazione con i trasportatori specifici, entrano nelle cellule e influenzano la trascrizione genica, promuovendo una maggiore acetilazione degli istoni e quindi una regolazione positiva dei geni di resistenza allo stress. Questi effetti epigenetici sembrano favorire l'adozione di uno stato fisiologico di longevità, contrastando i danni da invecchiamento e da malnutrizione cronica.
È quindi evidente che la riduzione del sale e l'adozione di diete come quella chetogenica possano svolgere un ruolo significativo nel rallentare i processi di invecchiamento e nel migliorare la salute cardiovascolare e renale. Tuttavia, l'approccio alla gestione del sale nella dieta deve essere personalizzato, tenendo conto di fattori come l'età, le condizioni preesistenti di salute e le specifiche necessità nutrizionali individuali. L'equilibrio tra la riduzione del sale e il mantenimento di un apporto adeguato di minerali, come il potassio, è cruciale per ottenere i benefici senza rischi.
Come si manifesta e si misura l’invecchiamento orale e cutaneo nel contesto dell’età biologica?
L'invecchiamento del viso è un processo eterogeneo e multifattoriale, che coinvolge modificazioni morfologiche progressive della pelle, dei tessuti molli e delle strutture ossee sottostanti. La classificazione dei segni dell’invecchiamento cutaneo si articola secondo diversi criteri: profondità, forma e causa. In termini di profondità, l’invecchiamento si distingue in disordine della trama cutanea, rughe superficiali, rughe marcate, rughe profonde e cedimento tissutale. Questa progressione non è lineare né omogenea: ogni segno ha una velocità di comparsa e sviluppo diversa.
Secondo la classificazione morfologica proposta da Kligman, si distinguono tre tipologie di rughe: “crinkle wrinkle” (rughe increspate), “glyphic wrinkle” (rughe a forma di glifo) e “linear wrinkle” (rughe lineari). Pierard ha invece classificato le rughe secondo la loro eziologia: rughe da atrofia (associate alla perdita di massa dermica), rughe elastiche (dovute all’elastosi solare), rughe da espressione (legate all’attività muscolare) e rughe da gravità (conseguenti al cedimento meccanico dei tessuti).
Il volto invecchia in modo disomogeneo: i primi segni compaiono nella parte superiore, in particolare nella regione perioculare, già dai vent'anni con la formazione dei solchi naso-palpebrali e delle pieghe tra palpebra inferiore e guancia. Dopo i 45 anni, l’invecchiamento della parte inferiore del volto accelera sensibilmente, accompagnato da cedimenti del collo e della linea mandibolare. Anche le discromie cutanee seguono un'evoluzione graduale: la densità, la forma e il contrasto delle macchie, in particolare nella regione zigomatica, aumentano con l’età.
Nella popolazione asiatica, e in particolare tra gli East Asians, le caratteristiche morfologiche comportano una maggiore evidenza dell’invecchiamento nella parte superiore del volto rispetto ai soggetti occidentali. Questo è principalmente attribuito a due fattori: la lassità della pelle palpebrale superiore e la ptosi regressiva della palpebra, causata dalla debolezza del muscolo elevatore. Questi elementi contribuiscono alla chiusura parziale della cornea e alla riduzione del campo visivo, inducendo un’attivazione inconscia del muscolo frontale, da cui derivano segni distintivi come rughe orizzontali della fronte, elevazione del sopracciglio e svuotamento della palpebra superiore.
Parallelamente all’invecchiamento del viso, si sviluppa un concetto meno visibile ma altrettanto significativo: l’invecchiamento orale. Già nei testi classici cinesi la perdita dei denti era metafora della fine della vita. Studi recenti hanno evidenziato una correlazione positiva tra numero di denti conservati e aspettativa di vita. L’“età orale” è stata introdotta come indice composito per valutare lo stato di salute della cavità orale, includendo parametri come numero di denti sani, indice parodontale comunitario (CPI), forza masticatoria, salivazione e test di deglutizione.
L’analisi della funzione orale si estende anche alla valutazione della “fragilità orale”, concetto proposto dalla Japan Gerodontology Society, che individua sette parametri funzionali: scarsa igiene orale, secchezza della bocca, ridotta forza masticatoria, alterazione del movimento linguale e labiale, bassa pressione linguale, diminuzione dell’efficienza masticatoria e compromissione della deglutizione. La presenza di almeno tre parametri alterati configura una condizione di declino funzionale orale. Da questi test si può derivare un’età funzionale orale che rappresenta un'indicazione più precisa dello stato biologico rispetto all'età anagrafica.
Tuttavia, nei soggetti sotto i quarant'anni, la correlazione tra età e parametri orali è debole, rendendo difficile stimare un’età orale affidabile per questa fascia di età. Inoltre, il tasso di declino funzionale varia tra i sessi, richiedendo formule correttive differenziate per genere. Le attuali metodiche presentano anche limitazioni tecniche e di standardizzazione, rendendo complesso il calcolo accurato dell’età orale.
Dal punto di vista della geroscienza, l’infiammazione cronica di basso grado, associata a condizioni come la parodontite, la sindrome metabolica, e le patologie cardiovascolari, contribuisce significativamente al deterioramento dei tessuti parodontali. Un esempio emblematico è rappresentato dal ruolo dei telomeri, le sequen
Come misurare la capacità antiossidante del corpo umano: il metodo MULTIS
I lipidi nel corpo umano subiscono modificazioni ossidative causate dai ROS (specie reattive dell'ossigeno). Molte sostanze idrosolubili, come la vitamina C, i residui di amminoacidi nelle proteine e alcune vitamine liposolubili come la vitamina A, la vitamina E e il coenzima Q10, vengono carbonilate dai ROS, creando un complesso sistema di protezione contro i danni ossidativi. La protezione contro il danno ossidativo è quindi un meccanismo cruciale per la salute del nostro organismo. La valutazione della capacità antiossidante del corpo, ovvero la capacità di neutralizzare i radicali liberi, è essenziale per comprendere il livello di stress ossidativo a cui il corpo è esposto.
I danni ossidativi al DNA sono osservati in molte malattie e possono causare mutazioni genetiche e morte cellulare. Un esempio chiaro di danno ossidativo al DNA è rappresentato dalla 8-oxoguanosina (8-oxodG) e dalla 8-idrossideossiguanosina (8-OHdG), che sono biomarcatori eccellenti per valutare l'esposizione allo stress ossidativo. Poiché ci sono innumerevoli antiossidanti nel corpo, la misurazione diretta di tutti gli enzimi antiossidanti e degli antiossidanti è praticamente impossibile. Per questo motivo, è stato sviluppato il metodo MULTIS (MULTIple free-radical scavenging), un approccio innovativo per misurare l'attività di eliminazione dei ROS.
La quantità di sostanze ossidativamente modificate nel corpo è principalmente determinata dall'equilibrio tra la produzione di ROS e la loro eliminazione. In altre parole, queste sostanze si formano solo quando il livello di stress ossidativo supera la capacità del corpo di eliminare i ROS. Il metodo MULTIS permette di quantificare l'attività di eliminazione di sei diversi tipi di ROS che il corpo umano può produrre: radicali idrossilici, radicali superossido, radicali alcossilici, radicali perossilici, radicali metilici e ossigeno singoletto. Questo approccio consente di analizzare come diverse sostanze, tra cui cibi e campioni biologici di pazienti affetti da malattie legate allo stress ossidativo, possono influenzare la capacità del corpo di eliminare i radicali liberi.
Il primo ROS prodotto nel corpo è il radicale superossido, ma, come accennato in precedenza, la sua vita media è estremamente breve e la sua reattività molto alta. Di conseguenza, si trasforma rapidamente in altre forme di ROS, coinvolgendo anche la produzione di vari tipi di radicali lipidici nel corpo. Questo processo avviene praticamente in ogni momento e luogo del corpo, rendendo difficile per l'organismo eliminare i ROS in modo efficiente senza l'intervento degli antiossidanti. È quindi fondamentale che gli antiossidanti siano presenti nei punti di produzione dei ROS per prevenire danni più gravi.
L'analisi della capacità antiossidante del corpo attraverso il metodo MULTIS è stata applicata con successo in diverse malattie legate allo stress ossidativo, come il diabete, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e l'autismo. I risultati hanno dimostrato che, nonostante tutte queste malattie siano correlate allo stress ossidativo, il pattern di attività di eliminazione dei ROS varia a seconda della condizione patologica. È stato osservato, per esempio, che nei topi modello SAMP8, utilizzati per simulare l'invecchiamento accelerato e la perdita di memoria, l'attività di eliminazione dei ROS nel sangue è notevolmente ridotta rispetto ai topi SAMR1, che invecchiano naturalmente. Tuttavia, l'introduzione di fattori alimentari che supportano la cognizione sembra migliorare in modo significativo questa attività, suggerendo che la demenza potrebbe anch'essa essere una malattia legata allo stress ossidativo.
Per valutare efficacemente la capacità antiossidante del corpo, è importante non solo considerare la presenza di antiossidanti, ma anche misurare l'efficacia con cui il corpo elimina i ROS. L'introduzione di alimenti o integratori antiossidanti potrebbe contribuire a prevenire o rallentare l'insorgenza di malattie legate all'invecchiamento e allo stress ossidativo. La ricerca in questo campo è ancora in corso, ma i metodi come il MULTIS offrono una panoramica promettente per il monitoraggio e la gestione della salute a lungo termine.
In sintesi, è essenziale comprendere che la capacità del corpo di neutralizzare i radicali liberi dipende da un delicato equilibrio tra la produzione di ROS e la loro eliminazione. I metodi innovativi per misurare questo equilibrio, come il MULTIS, sono fondamentali per la prevenzione e la gestione di malattie legate allo stress ossidativo, inclusi l'invecchiamento accelerato, le malattie neurodegenerative e altre patologie croniche.
Effetti della chirurgia metabolica sul diabete di tipo 2 e sulla steatosi epatica non alcolica: un'analisi approfondita
La chirurgia metabolica, in particolare la gastrectomia a manica laparoscopica (LSG), ha dimostrato effetti significativi nel trattamento dell'obesità grave, con riscontri positivi anche sulla remissione del diabete di tipo 2 (T2D) e sulla steatosi epatica non alcolica (NASH). In numerosi studi, si è osservato un miglioramento sostanziale nei pazienti affetti da T2D dopo la chirurgia bariatrica, con una riduzione notevole della necessità di farmaci per il diabete e una diminuzione dei livelli di HbA1c.
Un'importante ricerca giapponese ha dimostrato che, dopo un intervento di LSG, i pazienti con obesità grave (BMI medio di 43.7) hanno mostrato una perdita di peso totale (TWL) del 29,9%, con un tasso di remissione completa del diabete (HbA1c inferiore al 6.0% e senza l'uso di farmaci per il diabete) che ha raggiunto il 75,6% dopo due anni. In un gruppo con un BMI pre-operatorio tra 32.0 e 34.9, i risultati sono stati differenti, con una riduzione del 52,4% dei casi di T2D, sebbene con una percentuale inferiore di perdita di peso (22%).
Un altro strumento utile per prevedere la remissione del diabete dopo un intervento chirurgico di perdita di peso è il punteggio ABCD, sviluppato dalla Società giapponese per il trattamento dell'obesità. Questo punteggio combina l'età, il BMI, i livelli di C-peptide e la durata del diabete, ed è stato associato a un più alto tasso di remissione del T2D dopo la chirurgia. È stato osservato che i pazienti con punteggi ABCD più alti (superiori a 6) avevano una probabilità maggiore di remissione del diabete, con tassi che arrivano fino al 91%.
Sul fronte della steatosi epatica non alcolica, la chirurgia bariatrica si è rivelata altrettanto efficace. Nella stessa ricerca, il punteggio di attività NAFLD è migliorato significativamente dopo la LSG, con un miglioramento particolarmente evidente nei pazienti con livelli elevati di HbA1c pre-operatorio. La ricerca ha mostrato che il fattore prognostico più forte per il miglioramento della fibrosi epatica era proprio il valore di HbA1c, con una correlazione significativa (p = 0.013) tra miglioramento della fibrosi e abbassamento dei livelli di HbA1c.
Un dato interessante è che molti pazienti che inizialmente presentavano steatosi epatica non alcolica (NASH) hanno mostrato una riduzione della severità della malattia dopo l'intervento. In un gruppo di 35 pazienti con NASH pre-operatorio, il 56% ha mostrato una notevole riduzione della malattia dopo sei mesi, e la prevalenza di NASH è scesa al 26% dopo un anno. Questo suggerisce che la chirurgia bariatrica potrebbe diventare un trattamento sempre più riconosciuto per NASH, in particolare nei pazienti con obesità grave.
Inoltre, è fondamentale notare che la chirurgia bariatrica non è una panacea universale. La remissione del diabete e il miglioramento della steatosi epatica dipendono da una serie di fattori, tra cui l'età del paziente, il tempo di insorgenza della malattia e le condizioni generali di salute. La valutazione pre-operatoria accurata, che include il calcolo del punteggio ABCD e la valutazione dei livelli di HbA1c, è essenziale per prevedere il successo dell'intervento. Nonostante i tassi elevati di remissione, il successo non è garantito per tutti i pazienti, e la chirurgia deve essere considerata parte di un approccio globale che include anche modifiche dello stile di vita, come dieta e attività fisica.
Va inoltre sottolineato che, sebbene la chirurgia bariatrica possa migliorare significativamente le condizioni metaboliche e epatiche, non è priva di rischi. Le complicanze post-operatorie, come le infezioni o la perdita insufficiente di peso, possono compromettere i benefici attesi. Pertanto, è cruciale che i pazienti siano adeguatamente informati sui rischi e sui benefici di queste procedure, e che ricevano supporto continuo nel periodo di follow-up per garantire il successo a lungo termine.
L'aumento delle conoscenze scientifiche sulla chirurgia metabolica, unito all'adozione di tecniche innovative e più sicure, potrebbe portare a una diffusione maggiore di questa terapia per trattare l'obesità e le sue comorbidità, come il diabete di tipo 2 e la steatosi epatica non alcolica, nel prossimo futuro.

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