La foresta tropicale secca (TDF) è un ecosistema estremamente variegato, difficile da classificare in base alle tradizionali divisioni ecologiche, proprio a causa della sua natura complessa e della grande varietà di ambienti in cui può svilupparsi. Uno dei principali ostacoli per una corretta definizione e comprensione di questo tipo di foresta è la distinzione tra le diverse categorie di TDF, che spesso risultano sovrapporsi o mescolarsi con altri tipi di biomi tropicali.

In generale, le foreste tropicali secche possono essere suddivise in vari tipi ecologici, che si differenziano per caratteristiche come il substrato, il regime idrico, e le risposte al fuoco. Ad esempio, le foreste di tipo TDFaw (Azonale: Anomalia Suolo–Acqua) si caratterizzano per la loro distribuzione su aree geografiche molto frammentate, tipicamente su terreni sabbiosi profondi. Queste aree si trovano principalmente in Australia, in particolare nelle isole Tiwi e nella penisola di Dampier, ma anche in altre regioni del Queensland e del Territorio del Nord. Le piante che popolano queste foreste sono adattate a suoli poveri di nutrienti, con un'evidente scarsità di copertura erbacea e una marcata dominanza di piante rampicanti.

Un altro tipo importante è il TDFaf (Azonale: Anomalia del Regime di Fuoco), che si trova in alcune regioni dell'Australia settentrionale, come il Kimberley e l'altopiano di Arnhem Land. Questo tipo di foresta è strettamente associato a regimi di fuoco, ma cresce anche in zone protette, lontane dalle fiamme, dove la vegetazione ha avuto modo di svilupparsi più rigogliosamente. Le foreste di tipo TDFaf si trovano solitamente in aree caratterizzate da substrati rocciosi, spesso formati da campi di massi, che creano un habitat particolare per la flora locale.

Le difficoltà nella classificazione della foresta tropicale secca derivano anche dall’uso improprio di termini come "macchia" o "bushland", che sono frequentemente impiegati in modo intercambiabile con la TDF. Questi termini, sebbene spesso utilizzati per descrivere ecosistemi simili, non sono sempre accurati, e la loro sovrapposizione può confondere ulteriormente le definizioni. In alcune occasioni, infatti, ecologi come White (1983) hanno considerato come "foreste" aree che in realtà sono più simili a boschi o praterie, con una ricca copertura erbacea ma una struttura vegetativa decisamente meno densa rispetto a quella tipica delle foreste vere e proprie.

Un altro tema di dibattito riguarda l'inclusione della "Caatinga" e di altre formazioni vegetali simili, come quella del Chaco, nel concetto di TDF. Sebbene queste formazioni possiedano caratteristiche che possono sembrare simili a quelle delle foreste tropicali secche, esse appartengono a biomi ecologici distinti, che richiedono una classificazione separata. Il confine tra il bioma della TDF e quello delle praterie o delle savane è spesso sfumato, e le caratteristiche ecologiche, come la distribuzione della vegetazione e il comportamento del suolo, variano sensibilmente.

Un ulteriore problema che emerge riguarda l’uso del termine "bioma succulento", che è stato recentemente introdotto per descrivere aree ricche di piante succulente. Tuttavia, l’associazione di una vegetazione succulenta con un bioma definito è problematico. Il succulento è una caratteristica morfologica che non deriva da un singolo insieme di forze evolutive, ma da diversi adattamenti ecologici e fisiologici. L'introduzione del "bioma succulento" non risolve le difficoltà di classificazione della foresta tropicale secca, ma piuttosto crea nuove ambiguità, soprattutto se il termine viene esteso a regioni che non supportano piante succulente ma che condividono altre caratteristiche ecologiche, come la scarsità di acqua e la resistenza al fuoco.

Inoltre, non si può ignorare l'importanza dei rifugi di fuoco all’interno delle foreste tropicali secche. Questi rifugi, che si trovano in posizioni geografiche particolari come valli profonde o zone protette, sono cruciali per la conservazione della biodiversità. In molte di queste aree, le piante hanno sviluppato adattamenti che permettono loro di sopravvivere ai periodici incendi naturali, conservando al contempo una diversità vegetale elevata. Questi rifugi ecologici non solo preservano le specie locali, ma contribuiscono anche alla stabilità dell'ecosistema, che altrimenti potrebbe essere devastato da incendi frequenti o da altre perturbazioni ambientali.

In conclusione, la classificazione della foresta tropicale secca non è un compito semplice, e richiede una comprensione approfondita delle interazioni ecologiche e dei processi evolutivi che modellano questi ambienti. La continua evoluzione del concetto di "bioma succulento" e le difficoltà nell'individuare confini ecologici chiari mettono in evidenza la complessità di questo ecosistema e la necessità di un approccio flessibile e dinamico nella sua classificazione. La comprensione delle foreste tropicali secche, quindi, non si limita alla loro struttura vegetativa, ma richiede anche una riflessione sulle forze ecologiche e storiche che le hanno plasmate, come il fuoco, la disponibilità di acqua e la resistenza alle condizioni climatiche estreme.

Perché le Grandi Praterie Dominano le Zone Temperate Calde e Subtropicali?

Le praterie dominanti da C4, un tipo di vegetazione erbosa che prospera in climi temperati caldi e subtropicali, costituiscono uno degli ambienti più interessanti in ecologia bioclimatica. Le terre che ospitano queste praterie si trovano principalmente tra i biomi zonali E2 e S2, una zona di transizione che si estende tra i biomi della savana arida e dei semi-deserti. Questi ecosistemi erbosi, a seconda delle condizioni locali, possono essere più o meno umidi, e la loro distribuzione è fortemente influenzata da fattori climatici come la disponibilità di acqua e la temperatura ambientale.

Le praterie C4, che prosperano principalmente in climi con scarse precipitazioni stagionali e temperature elevate, sono state capaci di superare la concorrenza di piante C3 meno adattate a tali condizioni. La superiorità delle piante C4 deriva dalla loro capacità di crescere rapidamente anche in condizioni di scarsità d’acqua, un vantaggio significativo in ambienti soggetti a periodi di siccità. Questo vantaggio le rende particolarmente abbondanti in regioni con una marcata stagionalità delle precipitazioni, come nelle praterie montane africane, dove la combinazione di temperature elevate e bassa disponibilità di acqua favorisce la crescita di queste piante resistenti.

Un esempio significativo di tale vegetazione si trova nelle praterie montane africane, che si estendono su altitudini elevate, spesso sopra i 2200 metri. Queste praterie, che si trovano lungo l’altopiano angolano, presentano un paesaggio misto, con foreste e praterie che si intercalano in una "mosaico" complesso. Nonostante la presenza di foresti in alcune aree protette, queste zone sono principalmente dominate da erbe C4, una caratteristica che le distingue dalle altre zone forestali. Il ruolo delle forze antropiche, come il fuoco e il pascolo, è fondamentale nella manutenzione di questi ecosistemi, poiché la vegetazione erbosa si rigenera rapidamente a seguito di incendi.

L’aspetto ecotonal delle praterie montane angolane e sudafricane è particolarmente affascinante, poiché queste aree fungono da zone di transizione tra biomi diversi, come quello subtropicale e quello temperato. L'elevato tasso di biodiversità che caratterizza queste zone deriva dalla loro posizione tra climi differenti, dove le condizioni ecologiche permettono una coesistenza di specie tipiche di biomi distanti. Questo fenomeno è osservabile in regioni come l'Highveld e le Highlands Manica, dove la mescolanza di specie di erbe e piante legnose crea un paesaggio in continua evoluzione.

Anche se la vegetazione dominante nelle praterie montane è composta da erbe C4, la combinazione di questi ecosistemi con elementi forestali crea un’interessante dinamica ecologica. Le foreste, spesso situate in depressioni più umide e protette dal fuoco, forniscono un habitat per una fauna che in altre condizioni climatiche sarebbe difficile sopravvivesse. Il ruolo delle grandi specie erbivore, che una volta popolavano queste terre, come il bisonte gigante e lo zebra estinto, è stato cruciale nel modellare il paesaggio, contribuendo alla rigenerazione delle praterie e all'instaurarsi di un equilibrio ecologico tra foresta e prateria.

Queste praterie montane, caratterizzate da una forte influenza antropica, sono un chiaro esempio di come l’interazione tra fattori naturali e umani possa modellare e mantenere ecosistemi altamente dinamici. Le evidenze di un impatto umano diretto sulle praterie, come nel caso dell’uso del fuoco e del pascolo, sono manifestazioni di una lunga storia di adattamento e gestione delle risorse naturali da parte delle popolazioni locali.

È fondamentale comprendere che la transizione ecotonal tra biomi non è un fenomeno statico ma un processo continuo che si evolve in risposta a mutamenti climatici, evoluzione biologica e attività antropiche. L'adattamento delle piante C4 a condizioni di siccità stagionale e il conseguente predominio in molte praterie è un risultato di migliaia di anni di evoluzione in ambienti sempre più secchi. Questi ecosistemi dimostrano come la natura sia in grado di adattarsi in modo sorprendente a condizioni avverse, creando paesaggi affascinanti e complessi.

Le praterie montane, quindi, non sono solo un riflesso di un clima specifico, ma sono anche il risultato di un’interazione dinamica tra bioclimatici, ecologici e storici. In ogni regione del mondo, dalla Mongolia alle Ande, passando per l'Africa e l'Australia, esistono praterie che raccontano storie simili di adattamento e cambiamento, modellando l’ambiente e influenzando le culture che dipendono da esse.