I criogeneratori che utilizzano il ciclo JT (Joule-Thomson) rappresentano una delle soluzioni più efficaci per il raffreddamento e la liquefazione di gas in impianti industriali, come quelli per l'azoto, l'elio e l'idrogeno. Nel ciclo JT, il gas si espande attraverso valvole JT, processo che provoca il raffreddamento o la liquefazione del gas stesso. Questo gas, ora raffreddato o liquefatto, assorbe il calore dal carico termico, per poi fluire di nuovo verso lo scambiatore di calore per una seconda fase di precooling. Tali sistemi, utilizzati in impianti di liquefazione, sono noti per le loro elevate capacità di liquefazione, che vanno da circa 190 litri al giorno fino a 400 litri al giorno, con la possibilità di raddoppiare questi valori grazie all'uso di azoto liquido per il precooling.
Un esempio delle applicazioni più avanzate di questo tipo di tecnologia si trova nel più grande impianto di liquefazione di elio al mondo, installato al Large Hadron Collider. Qui, sono in funzione otto criogeneratori che operano a 4,5 K, con una potenza di raffreddamento di 18 kW ciascuno, e otto criogeneratori a 1,8 K, che forniscono 2,4 kW ciascuno. La loro efficienza di secondo principio raggiunge fino al 29% dell'efficienza di Carnot, grazie a un sistema che impiega da otto a dieci fasi.
La sfida più grande nell'implementazione dei criogeneratori del ciclo Claude, come quelli appena descritti, è l'efficienza, che senza un pre-raffreddamento con azoto liquido si attesta generalmente tra il 5% e l'8% dell'efficienza di Carnot. Tuttavia, i sistemi più grandi e avanzati possono raggiungere fino al 12%. Ciò dimostra che, pur essendo sistemi energeticamente impegnativi, le prestazioni avanzate giustificano il loro impiego in applicazioni industriali su larga scala.
In contrasto con i cicli come il JT, esistono anche i sistemi criogenici rigenerativi, che si basano su un flusso oscilante di criogeno. Questi sistemi, come quelli utilizzati nei criogeneratori Stirling, differiscono dai sistemi recuperativi proprio per il flusso variabile di criogeno che genera pressioni oscillanti. A differenza dei sistemi recuperativi, che mantengono un flusso costante, i sistemi rigenerativi impiegano un "rigeneratore" che è in grado di assorbire il calore dal criogeno, che, durante il ciclo di ritorno, si sposta dal lato freddo a quello caldo. In questo contesto, l’uso di schermature a rete o sfere impaccate nel rigeneratore è fondamentale per aumentare la superficie di contatto e migliorare l'efficienza del trasferimento di calore.
Il ciclo Stirling, che risale al 1815, è stato uno dei primi ad essere utilizzato nel campo della criogenia. Il suo principio di funzionamento si basa su un movimento alternato di un pistone e di un dislocatore all’interno di un volume chiuso, con l’obiettivo di alternare le fasi di compressione e di espansione del gas. Nei criogeneratori Stirling, il reggitore di calore è spesso integrato all’interno del dislocatore, e il movimento sinusoidale di quest’ultimo favorisce la sincronizzazione con il flusso di massa del criogeno. La sua efficienza ideale è paragonabile a quella di Carnot, ma in pratica la realizzazione di sistemi Stirling raggiunge efficienze che vanno dall'8% fino al 40% di quella teorica. La vita media di questi sistemi può superare le 4.000 ore, e alcune versioni dedicate alle applicazioni spaziali hanno dimostrato una durata di oltre dieci anni.
Anche i criogeneratori Gifford-McMahon (GM) presentano peculiarità interessanti rispetto agli Stirling. Questi sistemi utilizzano un compressore convenzionale che opera a una pressione costante, accoppiato con un sistema di valvole che genera la pressione oscillante necessaria per il ciclo di raffreddamento. Tra i vantaggi principali vi è la possibilità di utilizzare compressori standard commerciali, come quelli impiegati nei frigoriferi o nei condizionatori d’aria, riducendo così i costi di produzione. Sebbene meno efficienti in termini di prestazioni rispetto ai sistemi Stirling, i GM criogeneratori sono preferiti in alcune applicazioni, come nella risonanza magnetica, per la loro minore rumorosità e il costo inferiore.
Infine, i criogeneratori a tubo pulsante (pulse tube) sono un altro tipo di sistema rigenerativo che non utilizza dislocatori. In questi sistemi, l’oscillazione del gas viene generata grazie a un orifizio e a un serbatoio, dove l'oscillazione di pressione crea il flusso del gas attraverso l'orifizio stesso. Il vantaggio principale dei criogeneratori a tubo pulsante risiede nella riduzione delle vibrazioni e del rumore elettromagnetico, nonché nella maggiore affidabilità e longevità del sistema. Questi criogeneratori, pur essendo meno complessi in termini di componenti meccanici, offrono prestazioni comparabili con quelli basati su Stirling e GM, pur presentando costi operativi inferiori.
A completamento di quanto descritto, è essenziale considerare l’importanza di un sistema di recupero e purificazione dei gas, in particolare nell’impiego di elio. In applicazioni industriali, il riciclo dell'elio, che è una risorsa limitata, è fondamentale per ridurre i costi e migliorare la sostenibilità dei processi di liquefazione. Inoltre, la scelta della tecnologia criogenica dipende strettamente dalla specifica applicazione, dalla necessità di efficienza, durata e dal tipo di gas da liquefare, con ogni tipo di sistema che ha i suoi punti di forza e limiti.
Qual è l'effetto della temperatura sulla mobilità degli elettroni e sulla conducibilità elettrica nei semiconduttori?
La mobilità degli elettroni in un semiconduttore è influenzata da vari meccanismi di scattering, che dipendono dalla temperatura, dalla densità di portatori e dalle condizioni ambientali. In particolare, l'effetto combinato di sei principali meccanismi di scattering, tra cui lo scattering dei fononi, delle impurità ionizzate, della saturazione della velocità, dello scattering tra portatori, delle impurità neutre e dello scattering superficiale, determina la mobilità totale degli elettroni e dei buchi. L'andamento di questa mobilità in funzione della temperatura è un aspetto fondamentale nel comportamento elettrico dei semiconduttori.
Quando si considera la dipendenza della mobilità dal calore, la mobilità degli elettroni μ_e e quella dei buchi μ_h sono descritte attraverso funzioni specifiche che prendono in considerazione l'effetto della temperatura. La formula per la mobilità elettronica di riferimento, μ_ref,e, e quella dei buchi, μ_ref,h, varia come una funzione della temperatura, come mostrato dalle equazioni:
Dove i parametri , e sono vicini a 1. La funzione descrive la transizione tra il regime di scattering superficiale e quello di bulk (volume), e si presenta come segue:
In queste equazioni, i parametri di superficie e di volume sono stati determinati attraverso esperimenti che confermano il comportamento della mobilità dei portatori a temperature diverse.
Nel contesto dei semiconduttori, la conduttività elettrica è governata dalla densità di portatori liberi e dalla mobilità , come esemplificato nella seguente espressione:
Dove , e rappresentano rispettivamente la larghezza, la profondità della giunzione e la lunghezza del canale di conduzione. La dipendenza della conduttività dalla temperatura è dettata dalla variazione della mobilità e della densità di portatori con la temperatura, e la concentrazione di drogaggio gioca un ruolo cruciale. A basse temperature, si osserva un fenomeno di congelamento dei portatori, particolarmente quando i livelli di drogaggio sono sotto la soglia di degenerazione. Questo effetto di congelamento è visibile nella condizione di stato stabile, quando il canale di conduzione è completamente stabilito.
Nel caso in cui venga applicato un campo elettrico, la conduttività elettrica può deviare da questo comportamento stabile a causa del trasporto balistico o del "velocity overshoot". Il trasporto balistico si verifica quando il tempo medio libero dei portatori (tempo di rilassamento) supera il tempo di transito attraverso il canale, il che porta a una velocità di portatori che supera la velocità di deriva stabile. Questo fenomeno è illustrato nel grafico relativo alla velocità di deriva in un campo elettrico applicato di 20 kV/cm (Fig. 3.26). La velocità di deriva dei portatori nel regime balistico è data dall'espressione:
Dove è la forza del campo elettrico e è il tempo. Il fenomeno del "velocity overshoot" è particolarmente pronunciato per i portatori "freddi" e diminuisce man mano che i portatori si "riscaldano". Inoltre, la presenza di un campo elettrico ad alta frequenza è essenziale per il trasporto balistico, con la frequenza correlata al tempo di rilassamento , che nelle simulazioni risulta essere nell'intervallo tra 0,1 e 0,4 picosecondi, corrispondente a frequenze nell'ordine dei terahertz.
In ambienti criogenici, la possibilità di trasporto balistico è cruciale per dispositivi con lunghezze di canale inferiori a 10 nanometri, in cui la lunghezza del canale diventa paragonabile alla lunghezza d'onda de Broglie modificata. A temperature criogeniche, questo comportamento implica che dispositivi con canali di questa dimensione possano operare in modalità balistica a frequenze terahertz, rendendo la comprensione delle temperature a cui si verifica tale fenomeno fondamentale per la progettazione di circuiti avanzati.
Inoltre, la velocità di deriva saturata dei portatori di carica, elettroni e buchi, è modellata come una funzione della temperatura, mostrando come la velocità di deriva diminuisca man mano che la temperatura scende, come illustrato nelle equazioni (3.90) e (3.91). La velocità di deriva saturata a temperature diverse è rappresentata nei grafici (Fig. 3.27), fornendo una visione dettagliata di come i semiconduttori si comportano a temperature criogeniche.
Per comprendere appieno i comportamenti elettrici dei semiconduttori a temperature basse, è necessario considerare la complessità dei meccanismi di scattering, la dipendenza della mobilità dai parametri di temperatura, e l'effetto dei campi elettrici ad alta frequenza che favoriscono il trasporto balistico. Questi concetti sono fondamentali non solo per la progettazione di circuiti a bassa temperatura, ma anche per ottimizzare le prestazioni di dispositivi elettronici destinati a operare in ambienti criogenici, come nel campo dell'informatica quantistica, delle tecnologie spaziali e della fisica delle alte energie.
Qual è la temperatura ottimale per ridurre il consumo energetico nei sistemi di calcolo criogenici ibridi?
La crescente complessità dei sistemi di calcolo ad alte prestazioni, combinata con l’esigenza di integrare tecnologie classiche e quantistiche, richiede un approccio radicalmente nuovo alla gestione termica. Nei sistemi criogenici ibridi, la distribuzione delle temperature tra i sottosistemi non è soltanto una questione di dissipazione del calore, ma un elemento strutturale che determina direttamente il consumo energetico complessivo e le prestazioni.
Nel caso studio analizzato, l’obiettivo è minimizzare la potenza totale dissipata dal sistema, mantenendo al contempo un vincolo di ritardo massimo pari a 0,24 picosecondi. Il sistema, composto da dieci unità computazionali – tra cui FPGA CMOS, FPGA SFQ, moduli PGU e QCI SFQ – è ottimizzato termicamente tramite un algoritmo implementato in Python. Questo algoritmo esplora lo spazio delle temperature operative per identificare la combinazione che soddisfa il vincolo di prestazione con il minimo dispendio energetico.
Il tempo di calcolo richiesto per l’intera ottimizzazione su una workstation con processore Intel Core i7-9750H e 8 GB di RAM è stato di circa 500 secondi. Il risultato mostra che, tra le molteplici configurazioni analizzate, vi è un insieme ottimale di temperature in cui la maggior parte dei moduli SFQ opera intorno ai 3 K, mentre i moduli CMOS sono mantenuti a 70 K. È interessante notare che, nelle cinque configurazioni migliori, le temperature dei moduli CMOS e FPGA SFQ restano invariate, mentre sono le variazioni nei moduli PGU e QCI a determinare la differenza nel consumo energetico.
Il consumo totale di potenza per la configurazione ottimale è di 2.456 watt, dei quali soltanto 95,5 watt provengono direttamente dai componenti raffreddati. Il resto è assorbito dai frigoriferi criogenici, che operano a temperature estremamente basse. Questo squilibrio evidenzia come, nei sistemi criogenici, il carico termico indiretto – dovuto ai costi energetici del raffreddamento – superi di gran lunga la potenza effettivamente dissipata dai circuiti stessi.
Questo porta a una riflessione fondamentale: in un sistema con zone a temperatura variabile, l’efficienza energetica non dipende solo dalla riduzione della potenza dissipata dai componenti, ma soprattutto dalla capacità di sfruttare in modo intelligente le caratteristiche termiche di ogni stadio del criorefrigeratore. L’interazione tra sottosistemi a temperature differenti può generare effetti non lineari sulla potenza richiesta per mantenere condizioni operative stabili. Se un sottosistema a temperatura più elevata non è adeguatamente isolato, può compromettere il rendimento del raffreddamento dei moduli a temperatura inferiore, aggravando l’efficienza complessiva del sistema.
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