La menzogna e l'inganno, purtroppo, sono strumenti che hanno sempre caratterizzato la storia umana, ma ciò che davvero può rovesciare l'impatto che il mentitore ha sulla mente delle persone è il tempo e le circostanze. Grandi dittatori come Mussolini, Stalin, Hitler e molti altri non sono stati abbattuti da contro-argomentazioni valide o da prove schiaccianti, ma dalle circostanze — economiche, militari e sociali — che non riuscivano a controllare, nemmeno con la menzogna. Solo quando il popolo si rende conto che "l'imperatore è nudo", grazie a una serie di eventi fortuiti, il principe delle bugie viene sconfitto. Questo fenomeno si ripete oggi, in un'era dominata da una disinformazione globale, dove la verità e le falsità si mescolano a tal punto che spesso non è più possibile discernere l'una dall'altra.

Nel suo libro Manufacturing Consent, i critici sociali Noam Chomsky e Edward Herman propongono una teoria su come i media possano guidare e persino fabbricare il consenso su vari temi, dalla politica alla morale. La forma in cui i media presentano e confezionano le notizie è spesso determinata dai broker che controllano i finanziamenti e, in molti casi, la proprietà dei media. In questo modo, i media diventano un sistema di propaganda vicariante, progettato per produrre un consenso che sia in linea con gli interessi di chi li finanzia. Le notizie vengono selezionate, i toni degli argomenti vengono stabiliti, le informazioni contraddittorie vengono filtrate o sminuite in modo argomentativo.

Il filtro dell'ownership implica che i contenuti siano manipolati dalle persone che detengono il controllo, a seconda delle loro necessità politiche ed economiche. Un altro filtro cruciale è quello del finanziamento: spesso, i media si allineano con le opinioni di chi li finanzia, che possono essere entità governative, corporazioni o, oggi, persino i singoli lettori e utenti che contribuiscono direttamente ai fondi dei media attraverso donazioni. Il terzo filtro è quello delle fonti, dove solo coloro che hanno un interesse diretto nel diffondere una certa versione degli eventi forniscono le informazioni. Il quarto filtro è il "flak", ovvero la reazione negativa che le notizie possono suscitare, la quale deve essere evitata il più possibile. Infine, il filtro dell’anticomunismo è ancora presente in alcuni media, dove qualsiasi ideologia che non si conformi alla dominante viene marginalizzata o denigrata.

Con l'avvento di internet, tuttavia, le possibilità di diffondere fake news sono esplose. Oggi, chiunque può contribuire alla manipolazione delle opinioni pubbliche, come dimostrano i siti web ultra-conservatori, che spesso ricorrono a teorie del complotto e notizie distorte per alimentare un senso di paura e disinformazione. Un esempio emblematico è Infowars, un sito di estrema destra fondato dal giornalista Alex Jones, noto per la sua diffusione di teorie complottiste, tra cui quella infondata che gli attacchi dell'11 settembre siano stati distorti dai media mainstream. La sua narrativa si basa su una costante paura di un "stato ombra", che sembra essere un'invenzione misteriosa e onnipresente, come se un'entità invisibile e maligna stesse sempre tramando alle spalle del presidente Trump e dei suoi sostenitori.

Questa tattica si inserisce perfettamente nella tradizione del giornalismo giallo, che mescola realtà e fiction per attirare l'attenzione, stimolando emozioni forti e alimentando l'immaginazione del pubblico. Il giornalismo giallo non si limita a raccontare storie; crea un vero e proprio spettacolo, un circo mediatico dove la verità si piega agli interessi economici e politici. Le tecniche del giornalismo giallo, tra cui l'incorporazione dell'occultismo, delle superstizioni e delle credenze mitiche, sono strumenti potenti per mantenere l'attenzione del pubblico. L'occultismo, infatti, è stato un elemento costante nelle pagine dei giornali gialli, utilizzato per spiegare fenomeni altrimenti incomprensibili.

L'uso dell'occultismo nel giornalismo giallo non è nuovo: storicamente, credenze come l'astrologia, le profezie e la magia sono state una parte integrante della cultura popolare, non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti. Le teorie complottiste che infestano le menti di molti lettori non sono altro che una riscrittura moderna di credenze antiche, una forma di superstizione che alimenta l'inquietudine e la paranoia. Alex Jones, ad esempio, ha utilizzato questi strumenti per giustificare le sue teorie sulla cospirazione e fare appello ai sentimenti più reconditi dei suoi seguaci.

Il rapporto tra il giornalismo giallo e l'occultismo non è solo una questione di manipolazione della verità, ma anche una questione di cultura. Infatti, le radici dell'occultismo affondano in epoche antiche, fino al Medioevo e al Rinascimento, quando le pratiche alchemiche e magiche erano considerate parte della conoscenza esoterica. Con il passare dei secoli, l'occultismo è stato marginalizzato dalla Chiesa, ma ha continuato a vivere nell'arte, nella musica e nella filosofia, specialmente nel periodo moderno, quando ha trovato nuova linfa nelle correnti della controcultura e del movimento New Age.

Oggi, il concetto di "caccia alle streghe" evocato da Trump ha una chiara connotazione occultista, alimentando una narrativa che rifiuta la realtà scientifica a favore di un mondo misterioso, pieno di forze invisibili. Il legame tra occultismo e violenza è stato esplorato da autori come Gary Lachman, che ha suggerito che simboli occulti, come quelli visti in film come The Matrix, potrebbero essere alla base di fenomeni violenti come gli omicidi seriali. La popolarità dei temi occulti nella cultura moderna ha quindi un impatto diretto sulla società, alimentando la paura e creando una nuova realtà alternativa che spesso non ha nulla a che fare con i fatti concreti.

La manipolazione del consenso, attraverso il giornalismo giallo e le fake news, è una forza potente che può alterare la percezione della realtà. La narrazione costruita attraverso menzogne e miti non è solo un fenomeno che riguarda l'intrattenimento o la politica, ma ha profonde implicazioni sociali, psicologiche e culturali. L'influenza dei media è tanto forte quanto invisibile, ma non per questo meno pericolosa.

Come il linguaggio diretto di Trump ha cambiato la retorica politica e il dibattito sulla correttezza politica

Nel corso della sua campagna elettorale, Donald Trump ha adottato una strategia retorica che ha suscitato forti reazioni sia negli Stati Uniti che all’estero. La sua lingua semplice e senza fronzoli, che molti definivano rozza o volgare, è stata, in realtà, una delle chiavi del suo successo, permettendogli di instaurare un legame diretto con una vasta fetta della popolazione americana, in particolare quella della classe operaia. Questo tipo di linguaggio, che contrastava nettamente con quello raffinato e politicamente corretto degli intellettuali e dei leader tradizionali, è stato percepito dai suoi seguaci come una forma di onestà, autentica e genuina.

L’uso di espressioni taglienti, come “SAD” per esprimere disgusto o “STUPID!” per definire idee che lui considerava folli, non è stato visto come un segno di ignoranza, ma come un’affermazione di sincerità e forza. Trump, infatti, ha saputo identificare la frustrazione di molti elettori verso quella che veniva percepita come una lingua elitista, manipolativa e distante dalla realtà quotidiana. Attraverso questa "lingua brutale", Trump ha consolidato la sua immagine di outsider, un uomo che parlava la lingua del popolo e sfidava apertamente l’ordine stabilito.

In questo senso, il suo linguaggio non si limitava a essere una mera scelta stilistica, ma rappresentava un vero e proprio codice di guerra verbale contro le élite politiche e intellettuali. Come notato dal sociologo britannico Basil Bernstein, esistono due modalità di linguaggio che riflettono due approcci diversi alla comunicazione sociale: lo stile elaborato e quello brutale. Il primo, utilizzato spesso da intellettuali e politici, enfatizza l’individualismo, mentre il secondo, che Trump ha fatto suo, punta sulla dimensione collettiva del “noi”, creando una sensazione di appartenenza tra i membri del gruppo. È un linguaggio che rafforza il senso di identità e comunità, e che solitamente non favorisce l’individualismo.

L’uso di espressioni forti e a volte volgari da parte di Trump ha anche radici storiche. I suoi modi di comunicare ricordano la tradizione della Commedia dell’Arte, una forma teatrale popolare del Rinascimento italiano, che utilizzava un linguaggio semplice, diretto e spesso offensivo per criticare le convenzioni sociali e politiche. Come i personaggi della Commedia, Trump ha sfruttato il linguaggio profano per colpire i "relativisti", come li definiva Mussolini, e far emergere le contraddizioni di un sistema politico che, secondo lui, aveva perso il contatto con la realtà della gente comune.

Lo stile diretto di Trump, spesso considerato volgare o privo di educazione, in realtà non ha mai avuto l’intenzione di sembrare intellettuale o raffinato. La sua retorica è un’arma: un modo per sfidare apertamente l’autorità, ridicolizzare gli avversari e abbattere le barriere dell’elitismo politico. Le sue parole sono destinate a scuotere, a provocare una reazione, a ridurre la distanza tra la classe politica e quella popolare. La lingua della "guerra culturale" che Trump ha adottato ha un grande potere evocativo, capace di far ridere e di stimolare una riflessione profonda sullo stato della politica e della società.

Un altro aspetto fondamentale è come il linguaggio di Trump si inserisca all’interno di un dibattito molto più ampio, che va oltre la sua persona e la sua figura politica. L’attacco alla correttezza politica non è una novità, ma un processo che si è evoluto negli anni. L’autore Allan Bloom, nel suo celebre libro The Closing of the American Mind del 1987, denunciava già l’imposizione di un linguaggio che cercava di evitare ogni forma di offesa a gruppi marginalizzati. Secondo Bloom, questa “lingua purista” non faceva altro che soffocare il dibattito e chiudere la mente degli americani, impedendo di ascoltare voci dissidenti. Con Trump, questa critica alla correttezza politica è stata trasformata in una vera e propria battaglia culturale, nella quale l’uso di un linguaggio diretto e a volte crudo è visto come una forma di resistenza contro l’establishment liberale e le sue presunte ipocrisie.

In una società in cui la politica si è sempre più spostata su un terreno di accettabilità verbale e ideologica, Trump ha dato vita a una lingua che sfida il conformismo. È una lingua che, proprio perché trasgressiva, riesce a entrare nella mentalità popolare e a far sentire la sua voce in maniera forte e chiara, senza subire il filtro delle convenzioni sociali.

In questa prospettiva, la retorica di Trump può essere vista come una risposta a un sistema di potere che, sotto il velo della correttezza politica, ha cercato di normalizzare e silenziare il dissenso. Il linguaggio di Trump non è solo una questione di stile: è una lotta per la libertà di parola, un atto di sfida contro le regole imposte dalle élite culturali e politiche.

Nel contesto dell’era dei social media, dove ogni parola è amplificata e dove la velocità della comunicazione può renderla immediatamente virale, Trump ha saputo usare profanità e linguaggio diretto come strumenti di mobilitazione e di critica sociale. Le sue espressioni volgari, ormai parte integrante del suo stile comunicativo, non hanno più lo stesso effetto di shock che avrebbero avuto in passato. Piuttosto, sono diventate un simbolo di un nuovo tipo di comunicazione politica, dove il linguaggio brutale viene utilizzato come mezzo di affermazione e di battaglia ideologica.

In definitiva, il linguaggio di Trump non è soltanto un riflesso della sua personalità, ma rappresenta una parte integrante di una strategia comunicativa che ha cambiato il panorama politico americano e, in un certo senso, globale. La sua retorica ha messo in luce la frattura tra l’élite e la gente comune, mettendo in discussione le regole non scritte della politica tradizionale e cercando di riplasmare il dibattito pubblico secondo i canoni di un nuovo realismo politico, che non ha paura di rompere gli schemi.

La Mente Virtuale e l'Arte della Menzogna: La Manipolazione nel Mondo Digitale

Con l'avvento del cyberspazio, le nuove generazioni nascono attraverso due "uteri" distinti—quello biologico e quello tecnologico. Non sorprende, quindi, che l'influenza straniera sulle elezioni presidenziali americane del 2016 si sia esercitata attraverso la rete, dove verità e menzogna non sono più distinte, e dove le menti delle persone possono essere facilmente "ingegnerizzate", come aveva inquietantemente sottolineato Lanier. L'attacco informatico agli Stati Uniti fu una truffa, dove gli hacker manipolarono contenuti web in modo ingannevole. È quasi un dato di fatto che Facebook abbia portato la vittoria a Trump. Ironia della sorte, quando Facebook divenne popolare intorno al 2005, fu celebrato come uno strumento di liberazione dalla conformità, un canale per esprimere opinioni liberamente e per condividere discorsi scientifici e filosofici. Oggi, questa visione è rapidamente diventata un anacronismo. Il numero di amici sembra essere più un obiettivo che una discussione su questioni filosofiche o estetiche. Internet è diventato un mezzo di dipendenza per molti, che cercano le reazioni altrui alle loro vite quotidiane. Gli effetti negativi sul pensiero razionale sono sottili, e proprio per questo più pericolosi.

I "nativi digitali", che sono cresciuti nel mondo della matrice, potrebbero ritenere che la "realtà" che si svolge su internet sia l'unica opzione a loro disposizione. Un tempo, le relazioni sociali, le tradizioni culturali durature e i modelli stabili di lavoro, vita e svago assicuravano alle persone un senso di unità attraverso esperienze di vita concrete. Internet ha distrutto questa certezza, spingendo gli individui a sviluppare nuove strategie per gestire gli shock della vita quotidiana. La teoria della matrice, come potrebbe essere chiamata per comodità, può spiegare perché le menzogne di personaggi come Trump siano accettate così facilmente. Le sue idee vengono diffuse viralmente su internet, dove acquisiscono validità senza alcun merito.

Il sociologo spagnolo Manuel Castells ha sostenuto che la rivoluzione digitale ha comportato cambiamenti senza precedenti nel modo in cui le persone cercano di prendere il controllo della propria identità. Questo ha creato una tensione che lui definisce il "net-versus-the self", ovvero la contrapposizione tra le strutture organizzative emergenti su internet e i tentativi degli individui di stabilire la propria identità (religiosa, etnica, sessuale, territoriale o nazionale) in questo nuovo ambiente digitale. Non è un caso che Trump sia diventato un esperto utilizzatore di Twitter, sapendo bene che la gente si immerge quotidianamente nell'ambiente digitale. L'accesso alla mente delle persone, Trump lo sa, avviene attraverso lo schermo. Marshall McLuhan sosteneva che i media nei quali le informazioni vengono registrate e trasmesse sono determinanti nel plasmare le tendenze e nel tracciare il futuro progresso, poiché estendono notevolmente le facoltà umane, ricalibrando la mente e portando così a una ristrutturazione del cervello. Così, semplicemente accendendo il televisore, visitando siti web o usando i social media, ci sentiamo connessi agli altri in modo astratto, piuttosto che reale. Lo spazio in cui interagiamo, creiamo ed esprimiamo noi stessi non è più quello concreto, ma uno spazio elettronico dove le interazioni quotidiane e le comunicazioni sono sempre più virtuali. In questo spazio, la mente è esposta a un'ingegneria sottile, perché tende a non filtrare le informazioni, ma a prenderle semplicemente in modo non riflessivo.

L'ascesa inaspettata di Donald Trump è stata favorita da questo stato di cose. L'hacking delle elezioni ha giocato su risentimenti che stavano fermentando in America tra le convinzioni conservatrici e le nuove pratiche liberali che avevano caratterizzato le amministrazioni precedenti. Gli annunci utilizzati nell'hacking hanno sicuramente influenzato le menti, poiché tutti noi siamo diventati abituati ad accettare le informazioni su uno schermo come veritiere a prima vista. Quando siamo stati sfidati sull'idea che potremmo essere stati ingannati da queste informazioni, provocando dissonanza cognitiva, tendiamo a rifiutare le prove pertinenti. Dopo le elezioni, diverse emittenti televisive hanno intervistato i sostenitori di Trump, sfidandoli con il "fatto" che fossero stati influenzati dall'hacking. Non sorprende che la maggior parte di loro abbia rifiutato la sfida, affermando che le informazioni erano vere. Altri hanno ammesso che potessero essere false, ma che comunque "raccontavano la verità". Praticamente tutto ciò che Trump dice o fa è falso, a cominciare dal suo slogan "Make America Great Again", che è quasi identico allo slogan "Let's Make America Great Again" coniato da Ronald Reagan. Ma in un mondo governato dalle bugie e dal linguaggio doppio, le persone credono che sia stato Trump a coniarlo, come lui falsamente afferma. Il significato di MAGA è pura doppiezza, come già discusso, perché è impossibile definirlo con precisione. Può significare qualsiasi cosa per chiunque. Per questo motivo, dissolve la dissonanza cognitiva che potrebbe emergere quando le bugie di Trump vengono rivelate. Può essere facilmente adattato a qualsiasi ideologia o mitologia.

Infine, è utile esaminare il concetto di "intelligenza machiavellica", poiché suggerisce che l'evoluzione sia stata la fonte della menzogna nella nostra specie. Sebbene nel complesso questa teoria non regga, dato che le bugie non si riscontrano in tutte le specie di primati o in tutte le culture umane, un aspetto dei sostenitori dell'intelligenza machiavellica merita attenzione. Essi affermano che mentire sia una predisposizione maschile piuttosto che femminile. In effetti, esistono prove psicologiche rilevanti che suggeriscono che il machiavellismo sia, nella realtà, più frequente negli uomini che nelle donne, anche se può manifestarsi in chiunque, compresi i bambini. Ognuno mente, indipendentemente dal genere, ma non tutti sono maestri della menzogna. Questi ultimi tendono ad essere maschi, per ragioni biologiche o culturali che siano. In effetti, i maestri della menzogna della storia sono stati prevalentemente uomini. Cosa che, senza dubbio, Machiavelli aveva ben presente. Sebbene la sua visione della politica possa sembrare misogina, alcuni autori suggeriscono che, piuttosto che un disprezzo per le donne, Machiavelli abbia espresso una visione radicale e critica delle norme di genere, proponendo donne politicamente efficaci e capaci di esprimere il loro "animo" in un contesto esterno alle istituzioni politiche tradizionali.