Le nanotecnologie, in particolare i materiali 2D, stanno rivoluzionando il panorama delle scienze dei materiali e delle applicazioni elettroniche, con progressi che aprono la strada a dispositivi più efficienti e funzionali. Oggi, i materiali 2D come i germaneni, i staneni e i borofeni, nonché i MXenes, sono oggetto di studio intensivo per le loro straordinarie proprietà elettroniche e magnetiche. Tra questi, i MXenes sono particolarmente promettenti, grazie alla loro formula chimica Mn+1Xn, dove M è un metallo di transizione e X è carbonio o azoto, con n che assume valori da 1 a 4. Questi materiali non solo possiedono un'alta conducibilità elettronica, arrivando fino a 2 × 10^6 S m−1, ma offrono anche opportunità in settori che richiedono materiali con alta resistenza magnetica e capacità di condurre corrente elettrica.

Una delle principali caratteristiche che differenzia i MXenes da altri materiali 2D è la loro natura metallica e la possibilità di essere funzionalizzati con atomi terminali, spesso idrogeno o elementi dei gruppi 16 e 17. Questo conferisce loro un’ulteriore versatilità, rendendoli ideali per l’impiego in dispositivi elettronici avanzati. Ad esempio, i laser a pozzo quantico, già discussi in precedenza, potrebbero beneficiare enormemente dell’impiego di MXenes grazie alla loro eccellente conducibilità, che potrebbe renderli componenti chiave nelle future tecnologie di calcolo basate sulla luce.

Parallelamente, le nanotubature multi-strato (MWNTs), come quelle derivate dal WS2, vengono ampiamente utilizzate per la loro capacità di trasportare cariche senza subire difetti di volume tipici di altre strutture, come dislocazioni e confini di grano. Ciò è di particolare rilevanza per applicazioni avanzate come le celle solari sensibilizzate al colorante, dove la conduzione ottimizzata e la bassa resistenza sono cruciali. Un altro esempio di nanotecnologia promettente sono i nanotubi di TiO2, i quali, grazie alla loro struttura e alla riduzione della resistenza da confine di grano, offrono prestazioni superiori rispetto alle nanoparticelle tradizionali in numerosi dispositivi elettronici.

Le nanofili, che sono stati preparati da una vasta gamma di materiali, inclusi semiconduttori come il silicio e il germanio, e metalli come lo zinco ossido, presentano anch'essi un potenziale notevole. Queste strutture, con diametri inferiori a 100 nm, non solo riducono la resistenza elettrica a causa della scarsità di difetti nel materiale, ma possiedono anche interessanti proprietà magnetiche, come osservato nei fili di ferro, dove sono stati registrati loop di isteresi magnetica a gradini. L’efficienza meccanica e la mancanza di difetti volumetrici li rendono ideali per applicazioni che richiedono alta precisione e stabilità.

La sintesi di nanomateriali rappresenta una delle sfide principali per l'industria e la ricerca scientifica. I metodi di sintesi si suddividono principalmente in due categorie: top-down e bottom-up. Mentre le tecniche top-down, come la macinazione ad alta energia, sono utilizzate per ottenere particelle di dimensioni nanometriche a partire da materiali di massa, i metodi bottom-up sono più avanzati, poiché permettono di costruire strutture atomiche con grande precisione. Un esempio classico di approccio bottom-up è la deposizione chimica da vapore (CVD), che consente di assemblare materiali molecolari o atomici in modo controllato. Altri approcci, come l’utilizzo di sonde a scansione, consentono la manipolazione di singoli atomi per creare strutture precise, con applicazioni promettenti nella produzione di circuiti elettronici a scala nanometrica.

Un’ulteriore innovazione nei metodi bottom-up è l’uso della litografia a fascio di elettroni o della microscopia a scansione a tunnel (STM) per modellare le superfici e per spostare gli atomi con una precisione incredibile. Queste tecniche sono fondamentali per la produzione di circuiti integrati sempre più piccoli, essenziali per il progresso delle tecnologie informatiche.

È importante sottolineare che, sebbene la ricerca sui nanomateriali e le nanotecnologie stia avanzando rapidamente, rimangono ancora numerose sfide. L'industria è chiamata a risolvere problemi legati alla scalabilità della produzione di questi materiali e alla loro integrazione nei dispositivi commerciali. Le applicazioni future dei nanomateriali dipendono da una migliore comprensione dei loro comportamenti in ambienti reali e da una continua innovazione nelle tecniche di sintesi e fabbricazione. La capacità di produrre materiali con proprietà su misura, attraverso metodi controllati e senza difetti, rappresenta il passo successivo per l’evoluzione dei dispositivi elettronici avanzati.

Quali tecniche permettono di osservare gli atomi e la loro struttura elettronica nei materiali solidi?

Nell'ambito dell’analisi dei materiali solidi, le tecniche di caratterizzazione che non si basano sulla diffrazione rivestono un ruolo fondamentale per ottenere informazioni precise sull’identità, posizione e stato elettronico degli atomi. Tra queste, le tecnologie di microscopia elettronica e spettroscopia rappresentano gli strumenti più potenti e raffinati.

L’impiego dei correttori di aberrazione, in particolare quelli a quadrupolo e ottupolo, consente di raggiungere una risoluzione atomica eccezionale nei microscopi elettronici a scansione a trasmissione (STEM). L’aberrazione sferica negativa generata da questi correttori compensa quella positiva delle lenti tradizionali, producendo un'immagine più chiara e dettagliata. Nei microscopi SuperSTEM situati a Daresbury, l’impiego di tre ottupoli e quattro quadrupoli permette di ottenere una risoluzione fino a 1 Å o migliore, mentre i sistemi commerciali moderni arrivano a risoluzioni di 45 pm a 300 keV. Quando si utilizza il rivelatore HAADF (High Angle Annular Dark Field), gli atomi più pesanti appaiono più brillanti, facilitando l'identificazione elementare. In immagini HAADF ad alta risoluzione, come quelle ottenute su Fe₃O₄, è possibile distinguere tra colonne atomiche occupate da Fe in siti ottaedrici doppi o singoli, e quelle in siti tetraedrici.

La spettroscopia a dispersione di energia dei raggi X (EDS o EDX) sfrutta i raggi X secondari emessi a seguito dell’interazione di un fascio di elettroni con gli atomi del campione. Un elettrone viene espulso da un livello energetico interno, e un altro da un livello superiore scende per colmare la vacanza, emettendo un raggio X caratteristico. L’energia emessa è specifica per ogni elemento chimico e consente una mappatura qualitativa e quantitativa degli elementi con numero atomico superiore a 9 (fluoro). I rivelatori al silicio a deriva (SDD) usati oggi offrono prestazioni superiori rispetto ai precedenti Si(Li), senza bisogno di raffreddamento criogenico, aumentando i tassi di conteggio e riducendo i tempi di acquisizione.

A completamento dell'EDS, la spettroscopia di perdita di energia degli elettroni (EELS) misura la perdita di energia subita dagli elettroni trasmessi dopo collisioni anelastiche con gli atomi del campione. Queste perdite possono derivare da interazioni con elettroni di gusci interni, di valenza, o con fononi, e consentono l’identificazione di elementi anche molto leggeri come il litio. A differenza dell’EDS, che rileva raggi X secondari facilmente attenuabili nel caso di elementi leggeri, l’EELS misura direttamente la perdita di energia del fascio trasmesso, rendendo più semplice la rilevazione. Inoltre, lo spettro EELS contiene informazioni sulla struttura di legame chimico e può permettere la determinazione degli stati di ossidazione dei metalli di transizione. Anche tramite EELS si possono ottenere mappe elementari, ma la tecnica richiede competenze avanzate per la sua corretta applicazione.

Per una caratterizzazione tridimensionale a livello atomico, le tecniche di microscopia a effetto tunnel (STM) e di forza atomica (AFM) offrono un accesso diretto alla topologia e alla densità elettronica superficiale. Lo STM, sviluppato nel 1981 nei laboratori IBM, non impiega lenti né sorgenti elettroniche convenzionali. Esso sfrutta il fenomeno quantistico del tunnelling: applicando una tensione tra una punta metallica estremamente affilata (di pochi atomi di diametro) e la superficie da esaminare, gli elettroni possono attraversare il vuoto che li separa, generando una corrente proporzionale alla distanza. Tale corrente, dell’ordine dei pico- o nanoampere, permette di ricostruire una mappa della densità di stati elettronici superficiali mantenendo costante l’intensità del segnale e registrando le variazioni di altezza della punta.

La probabilità del tunnelling dipende dalla funzione d’onda elettronica e dalla distanza tra la punta e la superficie. Più questa distanza è piccola, maggiore è la probabilità di attraversamento della barriera energetica rappresentata dal vuoto. La funzione lavoro (φ), ovvero l’energia necessaria per estrarre un elettrone dal livello di Fermi e portarlo nel vuoto, gioca un ruolo cruciale nella determinazione dell’efficacia del processo. La possibilità di invertire la polarità consente di analizzare sia la densità degli stati occupati che non occupati, rendendo lo STM uno strumento potente per lo studio della struttura elettronica superficiale.

La stabilità meccanica e l’assenza di vibrazioni sono essenziali per ottenere immagini STM ad alta risoluzione. Per questo motivo, le misure devono essere condotte in ambienti controllati, spesso sottovuoto e isolati da rumori meccanici. L’introduzione di punte a nanotubi di carbonio ha ulteriormente migliorato le prestazioni della tecnica.

Oltre alla capacità di osservare la topografia atomica, la combinazione di queste tecniche offre una visione multifattoriale dei materiali solidi: la loro composizione chimica, la distribuzione atomica, gli stati di ossidazione, le proprietà elettroniche locali e le variazioni strutturali a scala sub-nanometrica.

Nel contesto della scienza dei materiali e della chimica dello stato solido, è fondamentale comprendere che la scelta della tecnica non è mai neutra: ciascuna fornisce un’informazione parziale e complementare. L’interpretazione dei dati richiede un approccio integrato, una conoscenza avanzata dei fenomeni fisici sottostanti e una competenza tecnica nell’uso degli strumenti. Inoltre, la risoluzione teorica offerta da un’apparecchiatura deve essere valutata in relazione alle condizioni reali di analisi, considerando fattori come la preparazione del campione, la stabilità ambientale e la competenza dell’operatore. L’avanzamento delle tecniche di rilevazione non può prescindere da un’evoluzione parallela nelle capacità analitiche dell’osservatore. Solo un’interazione continua tra strumentazione, teoria e esperienza consente di raggiungere una vera comprensione della materia a livello atomico.

Come si eseguono e interpretano gli esperimenti di spettroscopia di assorbimento ai raggi X (XAS) e spettroscopia fotoelettronica ai raggi X (XPS)?

La spettroscopia di assorbimento ai raggi X (XAS) rappresenta una tecnica di caratterizzazione fondamentale nello studio di materiali solidi, liquidi e gassosi, con un ampio spettro di applicazioni che spaziano dai catalizzatori alle celle elettrochimiche. Il metodo si basa sull’assorbimento selettivo dei raggi X da parte degli atomi, permettendo di ottenere informazioni dettagliate sull’ambiente chimico e lo stato di ossidazione degli elementi presenti nel campione. Spesso, per interpretare gli spettri XANES (X-ray Absorption Near Edge Structure), si effettuano confronti con spettri di materiali standard noti, nei quali lo stato di ossidazione e la coordinazione atomica sono definiti. Ad esempio, per ossidi di manganese, è possibile osservare un progressivo spostamento del bordo di assorbimento verso energie più alte con l’aumentare dello stato di ossidazione (da Mn(II) a Mn(IV)).

Gli esperimenti XAS possono essere condotti in diverse modalità, adattandosi a molteplici tipologie di campioni e condizioni sperimentali. La geometria di trasmissione è la più comune: si misura l’intensità del fascio di raggi X prima e dopo il passaggio attraverso il campione, deducendo l’assorbimento. È fondamentale calibrare con precisione lo spessore del campione, in modo da ottenere un salto del 10% circa all’energia del bordo di assorbimento, garantendo dati affidabili. Questa modalità è ideale per campioni omogenei con alta concentrazione dell’elemento studiato. La modalità fluorescenza, invece, rileva i raggi X emessi dopo il rilassamento elettronico e risulta particolarmente utile per analizzare elementi a bassa concentrazione o studi di superfici. Infine, la misura dell’emissione elettronica, che registra gli elettroni Auger, consente ulteriori dettagli sulla struttura elettronica.

I moderni beamline dei sincrotroni permettono una raccolta dati sia sequenziale, variando l’energia dei raggi X passo dopo passo, sia in modalità Quick EXAFS, in cui il monocromatore si muove continuamente e lo spettro viene acquisito “al volo”, riducendo drasticamente i tempi di misurazione. Un’altra innovazione è la spettroscopia XAS dispersiva in energia, che usa un fascio policromatico e consente di raccogliere l’intero spettro simultaneamente, facilitando lo studio di sistemi catalitici dinamici e di piccoli volumi di campione, come quelli in celle a pressione elevata.

La spettroscopia fotoelettronica ai raggi X (XPS) offre un approccio complementare, indagando la composizione chimica e lo stato elettronico di un campione tramite l’analisi degli elettroni espulsi da orbitali atomici dopo l’eccitazione da radiazione elettromagnetica (tipicamente raggi X morbidi o UV). La misura dell’energia cinetica degli elettroni espulsi, correlata all’energia di legame e alla funzione lavoro del materiale, permette di risalire alla natura degli orbitali di origine e allo stato di ossidazione degli elementi. In particolare, un aumento dello stato di ossidazione si traduce in un incremento dell’energia necessaria per rimuovere un elettrone, influenzando la posizione dei picchi spettrali.

Gli strumenti di laboratorio per XPS, sebbene meno diffusi a causa dei costi elevati e della necessità di sorgenti di raggi X dedicate (tipicamente anodi di Mg o Al), trovano un’importante applicazione nei sincrotroni, dove la gamma energetica e l’intensità del fascio permettono analisi precise anche su campioni di dimensioni ridotte. L’intensità relativa dei picchi è proporzionale alla quantità dell’elemento nel campione, rendendo XPS un potente strumento di analisi elementare, noto anche come spettroscopia elettronica per analisi chimica (ESCA).

Il lettore dovrebbe considerare che, sebbene queste tecniche offrano dati ricchi e dettagliati, la loro corretta interpretazione richiede una conoscenza approfondita della fisica dei processi di interazione raggi X-materia e delle proprietà chimiche del campione. Inoltre, la complessità delle misure, specialmente in condizioni estreme o con materiali compositi, necessita spesso di un’integrazione con altri metodi analitici e di una calibrazione accurata con standard. L’uso di simulazioni computazionali avanzate, anche se fuori dal campo di questa trattazione, è cruciale per decifrare spettri complessi e per correlare gli aspetti strutturali con le risposte spettrali osservate. Comprendere le limitazioni sperimentali e i parametri di controllo durante la raccolta dati è altrettanto essenziale per garantire risultati significativi e riproducibili.