L'acquisizione del linguaggio, sia in un contesto di lingua madre che di seconda lingua, non è mai un processo lineare o diretto. Spesso si immagina che la relazione tra le parole di due lingue sia semplice, come una traduzione uno a uno, ma questo è lontano dalla realtà. Prendiamo, ad esempio, il termine "pane" in cinese. Storicamente, il pane non esisteva in Cina, quindi non esiste una traduzione diretta di questa parola. Allo stesso modo, "cielo" e "paradiso" non si traducono perfettamente in cinese con "天" (tiān), che racchiude significati che vanno oltre la semplice sfera di "cielo" o "paradiso" nel senso cristiano o occidentale. In tali casi, la traduzione non avviene in modo diretto, ma attraverso una rete complessa di significati che si rivelano solo all’interno del contesto linguistico della seconda lingua.

Quando impariamo una seconda lingua, infatti, non ci limitiamo a tradurre parola per parola. Cambiamo completamente il nostro approccio interpretativo, in quanto non ci basiamo più sulla relazione di indicazione tra la lingua che stiamo imparando e la nostra lingua madre. Invece, ci rendiamo conto delle relazioni sistemiche tra parole e frasi all'interno della lingua che stiamo apprendendo. La parola o la frase diventa comprensibile in base alla sua posizione all’interno di un sistema simbolico più ampio, piuttosto che rispetto alla traduzione diretta con la nostra lingua nativa. La parola "pane", quindi, si inserisce in un sistema semantico e linguistico che non ha nulla a che fare con la sua controparte nella lingua di origine.

Questo spostamento di approccio può sembrare naturale una volta che si acquisisce la lingua straniera, ma pone una domanda importante: come apprendiamo la lingua madre? Chomsky, nei suoi lavori del 1968 e del 1980, sviluppa l'argomento della "povertà di stimolo" per spiegare questo fenomeno. Secondo questa teoria, l'input linguistico che riceve un bambino è troppo scarso, frammentario e spesso grammaticalmente scorretto per giustificare l'acquisizione del linguaggio da parte dell'infante. Eppure, nonostante ciò, i bambini riescono a imparare una grammatica complessa e ad articolare frasi che non hanno mai sentito prima, spesso senza alcuna correzione diretta. Questo implica che il linguaggio non possa essere appreso semplicemente da un input linguistico limitato, ma debba essere qualcosa di innato, radicato in una grammatica universale.

Deacon, tuttavia, ribalta questa visione. Secondo lui, non esistono differenze anatomiche significative tra il cervello umano e quello di altri animali. La teoria della grammatica universale, infatti, inverte causa ed effetto. Le regolarità strutturali universali nel linguaggio non derivano da una grammatica pre-esistente, ma emergono attraverso l’interpretazione simbolica, che si sviluppa attraverso le interazioni semiotiche tra il bambino e l'adulto. La competenza simbolica, quindi, si costruisce attraverso interazioni semiotiche ricche, che non sono solo linguistiche, ma anche fisiche e gestuali, come i suoni, le espressioni facciali e il contatto visivo.

Anche se il bambino non riceve un input linguistico diretto, sperimenta una vasta gamma di segnali "indicali". Le espressioni come "Mamma!", "Papà!" o "Latte!", accompagnate da movimenti fisici e volti espressivi, funzionano come indici che collegano il bambino al mondo circostante. Questi segnali, pur essendo simili a quelli che troviamo nel regno animale (ad esempio, il linguaggio di segnali dei primati o la danza dell'ape), sono un primo passo verso la costruzione del significato simbolico. Il bambino, infatti, sviluppa progressivamente la capacità di riconoscere relazioni tra simboli non più legate a un semplice rapporto diretto con l'oggetto, ma tra simboli che, nella loro rete interconnessa, iniziano a determinare il significato.

Questo processo di apprendimento, che inizialmente si basa sulle relazioni indicanti tra un simbolo e un oggetto, evolverà nel tempo. Con il progredire delle competenze cognitive, il bambino comincerà a riconoscere che i significati delle parole non derivano solo dalla loro relazione diretta con gli oggetti, ma dalla posizione che esse occupano all’interno di una rete simbolica più ampia. Ad esempio, la parola "cane" acquisisce il suo significato non solo perché si riferisce a un animale concreto, ma perché si inserisce in un sistema simbolico che comprende altre parole come "animale", "amico", "affetto", "bastone", ecc.

Questa rete di relazioni simboliche, che si sviluppa durante l’acquisizione linguistica, rende possibile la generalizzazione e l’astrazione. Le parole e i concetti non sono più vincolati da un significato fisico o diretto, ma ottengono il loro potere rappresentativo attraverso la loro posizione all’interno del sistema linguistico. Un esempio di ciò è l’uso di descrizioni indefinite o generali. Quando diciamo "un cane si chiama Bark", non stiamo semplicemente riferendoci a un cane concreto, ma stiamo usando un simbolo (il nome) che non è necessariamente ancorato a un referente fisico, ma acquisisce il suo significato nel contesto linguistico.

Perciò, simboli e segni non si limitano a rappresentare oggetti fisici, ma acquisiscono potere di rappresentazione grazie alla loro posizione all’interno di un sistema organizzato. Questa visione cambia la nostra comprensione del linguaggio: non possiamo più considerarlo come una semplice collezione di segni che corrispondono direttamente a oggetti nel mondo. I simboli sono entità combinatorie, il cui potere referenziale dipende dalla loro posizione all’interno di un sistema logico e semantico. La loro struttura e la loro organizzazione determinano il modo in cui interagiscono tra loro e come possono modificare i significati in base alle combinazioni in cui si trovano.

La Teoria dell'Informazione e la Relazione tra Contenuto Informativo e Conoscenza del Ricevente

La nozione di informazione, come concetto oggettivo, è stata oggetto di dibattito nella filosofia della mente e della scienza dell'informazione, in particolare grazie agli studi di Dretske. La sua teoria suggerisce che l'informazione sia un contenuto oggettivo, ma la quantità e il tipo di informazione che un segnale trasmette dipendono, in qualche misura, dalla conoscenza di fondo del ricevente sulle possibilità della fonte. Sebbene l'informazione sia relativa e non soggettiva, la conoscenza preesistente di un individuo viene inclusa nella definizione del contenuto informativo. In tal modo, si genera una distinzione implicita tra l'informazione contenuta in uno stato di cose e quella che può essere attribuita a un ricevente specifico, nonostante Dretske non la esponga chiaramente. Questo apre a una riflessione interessante: se ogni evento o proposizione implica un'infinità di informazioni, come nel caso della semplice affermazione "Lucky è un cane", il paradosso dell'informazione infinita potrebbe sembrare inevitabile.

Il paradosso si manifesta quando si considera che ogni dichiarazione implica tutto ciò che la contraddice. Per esempio, l’affermazione "Lucky è un cane" implica che "Lucky non è un gatto", "Lucky non è una mucca", "Lucky non è un albero", e così via. Se estendiamo questo ragionamento a tutte le proposizioni, ogni evento o frase potrebbe essere visto come portatore di un’infinità di informazioni, un'idea che risulta problematica. Tuttavia, Dretske potrebbe difendere la sua teoria sottolineando la differenza tra l'informazione oggettiva incorporata in un evento e quella effettivamente estratta dal ricevente, che dipende dal suo background conoscitivo.

A questo proposito, Floridi (2004) propone una teoria alternativa di informazione semantica forte, che evita il paradosso di Bar-Hillel e Carnap. Secondo Floridi, il problema principale risiede nell’approccio probabilistico, che considera i valori alethici irrilevanti per l'analisi quantitativa dell’informazione semantica. In contrasto con le teorie precedenti, Floridi sviluppa un sistema che integra il valore di verità (alethic value) come parte integrante della definizione di informazione. L'informazione, quindi, è intesa non solo come dato, ma come una funzione del grado di "distanza semantica" o deviazione rispetto a un punto di riferimento fisso—la situazione data a cui si riferisce l'informazione.

Floridi misura la quantità di contenuto informativo in base al grado di discrepanza: minore è la discrepanza, maggiore è il contenuto informativo. La sua teoria risolve il paradosso di Bar-Hillel e Carnap non considerando semplicemente la quantità di dati, ma calcolando la quantità di informazione semantica come una funzione di questa discrepanza. In questa cornice teorica, le tautologie sono considerate veri, ma vuoti contenuti, mentre le proposizioni auto-contraddittorie non portano alcun contenuto informativo, poiché implicano la massima discrepanza.

Nonostante queste soluzioni, la teoria di Floridi non è esente da critiche. Un'importante obiezione è la tensione interna che emerge tra la concezione dell'informazione come "dato veritiero" e la definizione di informazione come derivante dalla divergenza semantica. Come può un messaggio falso contenere informazione veritiera? La risposta a questa contraddizione è diventata oggetto di discussione tra filosofi, soprattutto riguardo alla cosiddetta "tesi della veridicità". Inoltre, Floridi si discosta dalla visione di Shannon, secondo cui la quantità di informazione di un segnale è determinata dal numero di altri segnali possibili che esclude. Questo punto critico ha spinto alcuni autori, come Adraans (2010), a suggerire che la filosofia dell'informazione di Floridi non risponda adeguatamente alle domande centrali della teoria dell'informazione moderna.

Infine, una delle problematiche maggiori della teoria di Floridi è la sua incapacità di affrontare la questione dell'elaborazione dell'informazione nella cognizione. Secondo alcuni critici, la teoria di Floridi, nel definire l'informazione in modo semantico e indipendente da altri segnali, non riesce a tenere conto di come il cervello umano tratti indiscriminatamente l'informazione, indipendentemente dalla sua veridicità. L’approccio di Floridi, pur proponendo una visione sofisticata dell’informazione, lascia irrisolti alcuni aspetti cruciali legati all’elaborazione cognitiva e alla distinzione tra informazioni vere e false.

In conclusione, sebbene le teorie di Dretske e Floridi abbiano cercato di risolvere i problemi logici legati all’informazione e al suo contenuto, entrambi i modelli sollevano interrogativi cruciali. La questione della relazione tra contenuto informativo e conoscenza del ricevente, la natura infinita dell’informazione e il ruolo della verità sono tutti elementi che necessitano di una riflessione approfondita per comprendere appieno il concetto di informazione nell'epoca moderna.

Qual è la natura della rappresentazione e come nasce la normatività del significato?

Il significato naturale, in quanto strettamente legato a processi causali, non possiede di per sé una dimensione normativa; non può essere corretto o errato, preciso o impreciso. È attraverso l'interpretazione e l'intenzione del parlante che uno stato di cose viene identificato come quello che provoca la produzione di una rappresentazione, a condizione che determinati fattori causali governino tale processo. Come sottolineato da Stampe, «sapere che R rappresenta O come F significa sapere che, se R è prodotto sotto condizioni di fedeltà, allora sarà vero che il fatto che O sia F spiegherà (ecc.) l'occorrenza di R» (Stampe 1977, p. 50). Questo implica che, date le condizioni di fedeltà in cui uno stato di cose causa la produzione di un altro (come una rappresentazione), si prevede che la rappresentazione trasmetta informazioni sullo stato di cose originale.

Stampe utilizza il concetto di "funzione" per spiegare l'aspetto normativo della rappresentazione. Una funzione è concepita per raggiungere un determinato scopo, ma ciò non implica che riesca sempre nel suo intento. Una funzione può fallire, così come una rappresentazione può risultare falsa. Tuttavia, questo approccio è stato oggetto di critiche da parte di filosofi successivi. In primo luogo, la teoria suggerisce che il parlante debba identificare le condizioni di fedeltà di una rappresentazione quando la utilizza. Questo non rispecchia le circostanze reali, dove i parlanti normalmente non conoscono queste condizioni. Ad esempio, quando un coniglio percepisce il fruscio di un cespuglio come segno di un possibile predatore, non identifica consapevolmente le condizioni di fedeltà di quella rappresentazione (e, in effetti, non ha la competenza per farlo).

Inoltre, il ricorso all'interpretazione e all'intenzione del parlante per spiegare l'aspetto normativo della rappresentazione solleva ulteriori preoccupazioni. Pur riconoscendo che gli individui possono assegnare scopi agli oggetti, come nel caso degli artefatti progettati per svolgere specifiche funzioni, questo approccio incontra delle difficoltà. Nella pratica, la maggior parte delle rappresentazioni—sia linguistiche che segni animali—non ha progettisti identificabili. Inoltre, le intenzioni e le interpretazioni degli individui riguardo le rappresentazioni spesso divergono dai significati intesi da altri. Se l'interpretazione è la fonte della normatività della rappresentazione, occorrono spiegazioni aggiuntive per affrontare queste discrepanze. Un ulteriore problema riguarda la capacità dell'ascoltatore di interpretare correttamente le intenzioni del parlante nel ricevere una rappresentazione.

Inoltre, le relazioni causali sono troppo rigide per spiegare molte forme di rappresentazione. Come discusso nella critica alla teoria di Dretske, le correlazioni statistiche sembrano sufficienti per stabilire relazioni rappresentative. Molte rappresentazioni convenzionali, poi, non sono affatto determinate da relazioni causali. Una rappresentazione potrebbe non avere alcuna connessione fisica con l'oggetto che rappresenta. Nei casi di finzione, gli oggetti rappresentati potrebbero non esistere nemmeno fisicamente.

Nonostante le critiche, il concetto di "informazione" è stato ripreso dai filosofi successivi come un candidato per il significato naturale, e la funzione continua ad essere vista come la chiave per spiegare la normatività del significato non naturale. Una nuova corrente teorica, nota come teleosemantica, si è sviluppata per affrontare la questione del significato naturale. Qui, i filosofi affrontano due compiti cruciali: (1) spiegare cos'è l'informazione naturale e (2) spiegare come la normatività della rappresentazione emerga dall'informazione naturale. L'informazione naturale si trova in natura e non funziona intrinsecamente come una rappresentazione, ma lo diventa quando gli utenti le attribuiscono una funzione rappresentativa.

Dretske, nel suo approccio, distingue tre tipi di sistemi rappresentativi. Il primo tipo, i simboli, non possiede un potere rappresentativo intrinseco; tale potere è derivato dai creatori o dagli utenti. Il secondo tipo, invece, acquista il suo potere rappresentativo dagli elementi costitutivi, che sono considerati informazione naturale. Per Dretske, l'informazione naturale esiste in natura e diventa una rappresentazione solo quando gli utenti le attribuiscono una funzione. Il terzo tipo di sistema è quello che Dretske chiama "sistemi naturali di rappresentazione", che possiedono funzioni di indicazione intrinseche, indipendenti da altri sistemi. Questo tipo di funzione non dipende da un creatore o da un utente, ma si sviluppa all'interno del sistema stesso.

Una delle sfide del pensiero di Dretske è la rigidità delle sue relazioni causali, che risultano essere troppo universali per spiegare tutte le forme di rappresentazione. Inoltre, l'informazione naturale che definisce è troppo generica, non considerando il contesto in cui tale informazione è utilizzata. Millikan (2004) offre una proposta alternativa che risolve alcuni problemi sollevati dal pensiero di Dretske. La sua teoria dell'infosign consente una comprensione più organica e contestualizzata dell'informazione naturale, integrando la funzione evolutiva con quella contestuale. Questo approccio non si limita all'individuazione di regolarità causali in natura, ma considera anche il ruolo dell'organismo che utilizza queste informazioni per svolgere funzioni specifiche.

La normatività del significato non può essere ridotta esclusivamente a una questione di intenzioni o interpretazioni individuali. In effetti, la rappresentazione e il suo significato sono strettamente legati a funzioni biologiche e evolutive. Le rappresentazioni naturali, quindi, non sono semplici entità causali, ma risultano dal processo evolutivo in cui le funzioni di indicazione si sono sviluppate per rispondere alle necessità di un organismo. Le funzioni biologiche di un organismo, quindi, sono in grado di attribuire un significato normativo a un segno, proprio attraverso il suo utilizzo nel contesto evolutivo.

Infine, è importante sottolineare che la rappresentazione non è un processo semplicemente lineare o determinato unicamente dalla causalità. Il significato emerge da una relazione complessa di segnali naturali, capacità cognitive e interpretazioni contestuali. La comprensione della rappresentazione come funzione biologica richiede di considerare l'interazione dinamica tra l'organismo e il suo ambiente, dove le informazioni non solo riflettono la realtà, ma guidano l'azione dell'organismo in modi che sono intrinsecamente legati alla sua sopravvivenza e adattamento. La teleosemantica ci invita a guardare al significato non solo come qualcosa che "rappresenta" il mondo, ma come un processo che emerge dalla relazione funzionale tra gli organismi e il loro ambiente, con tutte le sfumature e le complessità che ne derivano.