Nel corso degli ultimi decenni, l'influenza degli evangelici all'interno del Partito Repubblicano ha subito significativi cambiamenti, evolvendo da una forza marginale a una delle componenti più influenti della base politica del partito. Tuttavia, nonostante la crescente rappresentanza degli evangelici, il loro ruolo all'interno del partito non è privo di contraddizioni. Sebbene il loro numero tra i delegati del Congresso Nazionale Repubblicano sia aumentato notevolmente a partire dagli anni '80, l'approccio politico degli evangelici sembra essere meno rigido rispetto alle generazioni precedenti, con un crescente pragmatismo che potrebbe avere implicazioni significative per la politica del partito e per il futuro della loro influenza.
Dal punto di vista numerico, i protestanti evangelici devoti sono diventati la maggioranza tra i delegati repubblicani alle convention nazionali dal 1990, segnando una netta discontinuità con gli anni '70 e '80, quando la base del partito era prevalentemente composta da protestanti di tendenze più liberali e mainline. Questa evoluzione è documentata in modo chiaro dallo studio Convention Delegate Study (CDS) che ha tracciato la composizione religiosa dei delegati delle convention repubblicane dal 1972 al 2012. Tuttavia, sebbene gli evangelici siano aumentati numericamente, il loro impatto non è sempre stato allineato con le posizioni più conservatrici che si potrebbero aspettare. L'intensificarsi del pragmatismo politico all'interno della base evangelica ha portato alcuni dei suoi membri a supportare candidati che, in passato, sarebbero stati considerati poco adatti a rappresentare i valori cristiani conservatori, come nel caso di John McCain nel 2008, Rudy Giuliani nel 2008, e persino Donald Trump nel 2016.
Un elemento interessante emerso da studi recenti è che, mentre gli evangelici devoti tendono a mantenere posizioni conservatrici sui temi morali e culturali, la loro inclinazione verso il pragmatismo politico, ovvero la volontà di fare compromessi per ottenere il successo elettorale, è aumentata. Ad esempio, i sostenitori evangelici di Trump, nonostante il suo stile di vita controverso rispetto ai valori cristiani conservatori, hanno scelto di appoggiarlo per la sua promessa di sostenere le politiche repubblicane che rispecchiavano i loro interessi economici e sociali. Ciò ha sollevato preoccupazioni tra alcuni leader cristiani, che vedono in questo atteggiamento una perdita dei valori fondanti dell'evangelismo, considerandolo una "svendita" della fede per il potere politico.
Tuttavia, nonostante le critiche, il sostegno degli evangelici a candidati come Trump non sembra aver indebolito la loro posizione nel Partito Repubblicano. Al contrario, il partito ha continuato a fare appello alla loro base, enfatizzando le sue credenziali conservatrici sui temi morali e culturali, che restano punti cruciali per gli attivisti evangelici. A livello empirico, le tendenze di partecipazione degli evangelici nelle convention repubblicane suggeriscono che la loro influenza non sia affatto in declino, ma che si stia trasformando in una forma più pragmatica e meno ideologica.
Uno degli aspetti fondamentali da comprendere è che, mentre i devoti evangelici si distinguono per la loro conservazione in campo culturale ed economico, il loro approccio alle politiche pratiche e al compromesso elettorale sta diventando sempre più simile a quello di altri attivisti politici conservatori. La scelta di sostenere candidati pragmatici, anche quando questi non sembrano incarnare perfettamente i valori morali degli evangelici, non implica una diminuzione della loro influenza, ma piuttosto una riflessione più ampia sulla direzione futura del Partito Repubblicano.
Inoltre, l'analisi dei dati dell'indagine CDS del 2012 ha mostrato che gli evangelici devoti sono più conservatori rispetto agli altri attivisti del partito su questioni economiche, morali e culturali. Tuttavia, su temi come l'immigrazione illegale e le politiche verso i musulmani, le differenze tra gli evangelici e altri gruppi di attivisti del GOP sono meno marcate. Questo suggerisce che la loro conservatorietà si concentra principalmente su temi che riguardano la moralità e la cultura, mentre altre questioni potrebbero essere trattate con un approccio più pragmatico e meno ideologico.
Il ruolo crescente degli evangelici nel GOP riflette anche l'influenza di movimenti come il Tea Party, che ha guadagnato terreno tra le fila degli attivisti repubblicani e ha avuto un impatto significativo sulle politiche e le priorità del partito. Tuttavia, la crescente influenza degli evangelici non deve essere vista come un segno di un allontanamento dalle radici conservatrici del GOP. Piuttosto, suggerisce un cambiamento nei metodi attraverso cui queste posizioni vengono perseguite, con una maggiore apertura alla compromissione in nome del successo elettorale.
Infine, va sottolineato che l'evoluzione della politica degli evangelici all'interno del Partito Repubblicano non è solo una questione di numeri o di appoggio a determinati candidati, ma riguarda anche un cambiamento nei valori e nelle priorità politiche. La progressiva adesione a un approccio più pragmatico potrebbe ridefinire l'influenza degli evangelici nel lungo periodo, con effetti che potrebbero essere determinanti per la futura identità del Partito Repubblicano e per la sua capacità di attrarre e mantenere il sostegno di una base elettorale sempre più variegata e disposta al compromesso.
Come si intrecciano religione, politica e pluralismo nel partito Repubblicano americano?
Il ruolo della religione nella società civile americana si conferma cruciale, tanto che il discorso politico del Partito Repubblicano sottolinea come “religione e moralità siano supporti indispensabili a una società libera”. Tuttavia, il governo ha progressivamente escluso le istituzioni religiose dal partecipare a contratti pubblici e ha messo sotto pressione college e università religiose per decisioni sul personale che non si allineano con le ortodossie liberali. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, i luoghi di culto temono di perdere lo status di esenzione fiscale, soprattutto a causa della cosiddetta Johnson Amendment, una norma del 1954 che vieta ai leader religiosi di sostenere o opporsi apertamente a candidati politici a rischio di perdere tale esenzione.
Nella piattaforma repubblicana del 2016, nonostante un discorso complessivamente breve sulla politica estera, la questione della libertà religiosa riceve un’attenzione relativamente ampia, in netto contrasto con la piattaforma del 2004. Quest’ultima, infatti, associava quasi esclusivamente l’Islam al “terrorismo islamico radicale”, definito una minaccia esistenziale. La risposta invocata è un radicale ripensamento della diplomazia sui diritti umani, che deve affiancare la difesa dei gruppi religiosi perseguitati agli interessi economici e di sicurezza. Tale impostazione esprime una visione del pluralismo fortemente polarizzata, che non riconosce qualità positive alle fedi considerate “altre” rispetto alla tradizione giudaico-cristiana.
L’analisi dei programmi elettorali suggerisce una strategia deliberata del GOP di consolidare una cultura politica che si identifica con una visione tradizionalista della famiglia e della comunità, opponendosi a una concezione più inclusiva del pluralismo. Sebbene alcuni leader evangelici abbiano sviluppato approcci meno rigidi su temi quali razza, etnia e relazioni interreligiose, la piattaforma ufficiale riflette un percorso più esclusivo, abbracciato appieno solo da una parte dell’élite evangelica.
La spiegazione più semplice di questa linea politica risiede nella cosiddetta “God gap”, ovvero la persistente differenza di orientamento religioso tra elettori americani. Il sostegno degli evangelici bianchi al Partito Repubblicano è stato costante nel tempo, così come le loro preferenze su temi culturali e sociali. Per i leader repubblicani, il successo elettorale dipende dalla fedeltà degli evangelici più tradizionalisti, senza temere grosse perdite nel gruppo di coloro che si sono allontanati dalla “guerra culturale”. A lungo termine, tuttavia, il partito potrebbe affrontare sfide rilevanti da parte di evangelici con visioni pluralistiche più aperte, o attraverso iniziative democratiche mirate a coinvolgere questo elettorato. Più probabilmente, il cambiamento arriverà dall’evoluzione demografica, con una nuova generazione meno interessata ai conflitti culturali del passato, che acquisirà progressivamente peso elettorale.
Va inoltre considerato che il rapporto tra fede e politica non è mai statico né univoco: le tensioni tra pluralismo e identità religiosa, tra inclusione e esclusione, riflettono trasformazioni più ampie nel tessuto sociale americano. La politica identitaria e culturale si nutre di questi conflitti, ma la religione, oltre a essere una leva elettorale, rimane un elemento fondativo del senso comune e delle narrazioni collettive. Il mutamento delle relazioni tra élite religiose e partiti politici potrebbe indicare una trasformazione più profonda nel modo in cui si costruisce la cittadinanza, la convivenza e il rispetto reciproco in società pluralistiche.
Il lettore deve comprendere che dietro il linguaggio politico ufficiale si cela una complessità fatta di pressioni interne, strategie elettorali e contraddizioni culturali. La rigidità apparente non è necessariamente monolitica, e all’interno delle comunità evangeliche esistono correnti che sfidano il pensiero dominante. Comprendere queste dinamiche è fondamentale per decifrare il futuro del pluralismo negli Stati Uniti, e per riconoscere come le tensioni tra fede, politica e identità possano influenzare non solo il quadro elettorale, ma anche la coesione sociale a lungo termine.

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