Nella modellazione degli elementi strutturali tridimensionali, l’elemento trave spaziale occupa un ruolo centrale per la sua capacità di rappresentare sei gradi di libertà nodali: tre traslazioni e tre rotazioni. Tali gradi di libertà sono direttamente associati a sei risultanti di sforzo, ossia tre forze e tre momenti, che caratterizzano in modo completo l’interazione meccanica in corrispondenza di ciascuna estremità dell’elemento.

Il lavoro virtuale esterno per ciascuna estremità, indicato con RaR_a e RbR_b, viene formulato in funzione dei vettori di spostamento e delle corrispondenti forze generalizzate. Per l’estremità BB, ad esempio, si ha:

{ub}T=ub,vb,wb,θxb,θyb,θzb,{fb}T=Fxb,Fyb,Fzb,Mxb,Myb,Mzb\{u_b\}^T = \langle u_b, v_b, w_b, \theta_{x_b}, \theta_{y_b}, \theta_{z_b} \rangle, \quad
\{f_b\}^T = \langle F_{x_b}, F_{y_b}, F_{z_b}, M_{x_b}, M_{y_b}, M_{z_b} \rangle

con la relazione θyb=wb\theta_{y_b} = -w'_b nel caso di piccole rotazioni. Analogamente, per l’estremità AA valgono:

{ua}T=ua,va,wa,θxa,θya,θza,{fa}T=Fxa,Fya,Fza,Mxa,Mya,Mza\{u_a\}^T = \langle u_a, v_a, w_a, \theta_{x_a}, \theta_{y_a}, \theta_{z_a} \rangle, \quad
\{f_a\}^T = \langle F_{x_a}, F_{y_a}, F_{z_a}, M_{x_a}, M_{y_a}, M_{z_a} \rangle

con θya=wa\theta_{y_a} = -w'_a.

Incorporando tali definizioni, e assumendo la somma ( R = R

Come ottenere e assemblare le matrici di rigidità degli elementi nei tralicci piani e spaziali

Nel trattamento sistematico dell'assemblaggio delle matrici di rigidità degli elementi nell'analisi di tralicci piani e spaziali, è utile integrare le equazioni di rigidità dell'elemento in modo tale da considerare anche gli effetti delle forze e degli spostamenti nelle direzioni trasversali. Ad esempio, il vettore degli spostamenti {u} e il vettore delle forze {f} possono essere arricchiti per l'elemento di traliccio piano nel seguente modo:

uT=ua,va,ub,vb{u}^T = 〈ua, va, ub, vb〉
fT=Fxa,Fya,Fxb,Fyb{f}^T = 〈Fxa, Fya, Fxb, Fyb〉

come mostrato nella Figura 2.6. Di conseguenza, la matrice di rigidità [k] per il traliccio bidimensionale può essere arricchita aggiungendo voci nulle alle righe e alle colonne relative ai gradi di libertà trasversali, come segue:

[k]=[EAL0EAL00000EAL0EAL00000][k] = \begin{bmatrix} \frac{EA}{L} & 0 & -\frac{EA}{L} & 0 \\ 0 & 0 & 0 & 0 \\ -\frac{EA}{L} & 0 & \frac{EA}{L} & 0 \\ 0 & 0 & 0 & 0
\end{bmatrix}

Per quanto riguarda invece un elemento di traliccio spaziale, il vettore degli spostamenti {u} e il vettore delle forze {f} possono essere arricchiti con tre gradi di libertà per ogni nodo dell'elemento:

uT=ua,va,wa,ub,vb,wb{u}^T = 〈ua, va, wa, ub, vb, wb〉
fT=Fxa,Fya,Fza,Fxb,Fyb,Fzb{f}^T = 〈Fxa, Fya, Fza, Fxb, Fyb, Fzb〉

come indicato nella Figura 2.7. La matrice di rigidità arricchita per l'elemento di traliccio spaziale sarà dunque:

[k]=[EAL00EAL00000000000000EAL00EAL00000000000000][k] = \begin{bmatrix}
\frac{EA}{L} & 0 & 0 & -\frac{EA}{L} & 0 & 0 \\ 0 & 0 & 0 & 0 & 0 & 0 \\ 0 & 0 & 0 & 0 & 0 & 0 \\ -\frac{EA}{L} & 0 & 0 & \frac{EA}{L} & 0 & 0 \\ 0 & 0 & 0 & 0 & 0 & 0 \\ 0 & 0 & 0 & 0 & 0 & 0 \end{bmatrix}

Le espressioni di cui sopra evidenziano chiaramente che un elemento di traliccio resiste solo alle azioni assiali, ma non ad altre azioni.

Un'importante osservazione deve essere fatta in merito ai carichi applicati agli elementi. Nelle derivazioni precedenti, abbiamo assunto che tutti i carichi applicati siano concentrati nei punti nodali, semplicemente per comodità. Tuttavia, questa assunzione non rappresenta una limitazione della teoria, in quanto tutti i carichi che non sono direttamente applicati ai nodi di un elemento possono essere facilmente trasformati in carichi equivalenti ai nodi, basandosi sul concetto di carichi concentrati o carichi nodali equivalenti.

Quando si analizza una struttura tramite il metodo delle rigidità, la formazione delle equazioni strutturali avviene separando il trattamento in due fasi: una per ogni singolo elemento e una per l'assemblaggio complessivo. Inizialmente, le equazioni degli elementi vengono derivate in termini di geometria, statica e relazioni costitutive, come illustrato nelle sezioni precedenti, dove la matrice di rigidità di un elemento si esprime come:

[k]u=f[k]{u} = {f}

successivamente, queste vengono assemblate per formare le equazioni della struttura complessiva:

[K]U=P[K]{U} = {P}

dove [K] è la matrice di rigidità della struttura, {U} è il vettore degli spostamenti e {P} è il vettore dei carichi.

Per passare dall'analisi locale all'analisi globale della struttura, le equazioni di ogni elemento, che sono riferite ai sistemi di coordinate locali, devono essere trasformate in un sistema di coordinate globali. A tal fine, è necessario definire l'orientamento di ciascun elemento rispetto al sistema di coordinate globali. Ogni elemento di una struttura tridimensionale è associato a un sistema di coordinate locali, che si definisce in modo univoco attraverso i vettori direzionali tra i nodi dell'elemento. Il sistema di coordinate locali (x, y, z) è orientato in modo tale che l'asse x sia definito dalla direzione del segmento che congiunge i due nodi dell'elemento. Gli assi y e z sono determinati in base alla geometria dell'elemento e alla sua sezione trasversale.

Una volta definiti i sistemi di coordinate locali, è possibile esprimere le forze e gli spostamenti nei sistemi di coordinate globali. La trasformazione avviene attraverso una matrice di rotazione [Γ], che permette di convertire le componenti del vettore di forza da un sistema di coordinate locali a un sistema globale:

{p}=[Γ]{p^}\{p\} = [\Gamma] \{p̂\}

L'ortogonalità della matrice [Γ] è una caratteristica fondamentale, poiché garantisce che la trasformazione sia coerente e che le proprietà fisiche vengano mantenute. Inoltre, la matrice [Γ] consente di trasformare anche le forze, i momenti, gli spostamenti e le rotazioni. L'uso di questa matrice consente di esprimere le equazioni di rigidità degli elementi nella forma globale, come illustrato dalle equazioni di trasformazione:

[k][Γ]{u^}=[Γ]{f^}[k][\Gamma] \{û\} = [\Gamma] \{f̂\}

Con questo processo, le equazioni degli elementi possono essere trasformate nel sistema globale, ottenendo infine una matrice di rigidità globale che descrive l'intera struttura.

In questo contesto, la comprensione approfondita di come avvengono le trasformazioni tra i sistemi di coordinate locali e globali è essenziale per l'accurata modellazione e risoluzione delle strutture. La qualità delle trasformazioni, infatti, determina la precisione della risposta complessiva della struttura agli effetti dei carichi.

Come si verifica la qualità degli elementi finiti: dal patch test al test degli autovalori

Nel contesto dell’analisi agli elementi finiti, il patch test rappresenta una delle metodologie fondamentali per valutare la qualità di un elemento. Una variante diffusa del patch test consiste nell’assegnare a tutti i gradi di libertà nodali un insieme di spostamenti {U} coerenti con uno stato di deformazione costante, per poi calcolare le corrispondenti forze nodali {P} tramite l’equazione {P} = [K]{U}, dove [K] è la matrice di rigidità. Se le forze nodali così ottenute all’interno del patch sono in grado di rappresentare uno stato di sforzo costante, il patch test è superato. Tuttavia, questo tipo di verifica garantisce solo la soddisfazione delle equazioni differenziali di base, senza assicurare la stabilità o la correttezza nell’approssimazione delle condizioni al contorno, risultando quindi in una condizione necessaria ma non sufficiente per la convergenza delle soluzioni.

Un’ulteriore strumento per il controllo della qualità degli elementi è il test degli autovalori, particolarmente efficace nell’individuare instabilità, difetti di invarianza e altre problematiche intrinseche alla formulazione di un singolo elemento. Considerando un elemento finito non vincolato, si analizza l’equazione caratteristica ([k] − λ[I]){u} = {0}, dove [k] è la matrice completa di rigidità, [I] la matrice identità, λ l’autovalore e {u} il corrispondente autovettore. Gli autovalori λ corrispondono ai modi di deformazione possibili e, per una matrice di rigidità coerente, i modi rigidi di corpo devono associarsi a valori λ nulli, indicando l’assenza di energia di deformazione. Nel caso di elementi bidimensionali, si prevedono tre autovalori nulli, mentre per elementi tridimensionali ne sono attesi sei, corrispondenti ai tre spostamenti e tre rotazioni rigide possibili.

La presenza di un numero insufficiente di autovalori nulli segnala che l’elemento subirà deformazioni spurie sotto movimenti rigidi del corpo, mentre un eccesso può indicare meccanismi non voluti o errori di formulazione o programmazione che compromettano la stabilità dell’elemento in certe condizioni di carico o mesh.

Questi test hanno avuto largo impiego nella validazione degli elementi lineari, i quali devono rispettare requisiti di compatibilità, completezza e stabilità. Tuttavia, la transizione all’analisi non lineare richiede approcci più sofisticati. Infatti, gli elementi non lineari, utilizzati in analisi incrementali, possono essere soggetti a sollecitazioni iniziali nei nodi, e la presenza di tali carichi iniziali deve essere considerata nella valutazione della qualità degli elementi. A tal fine, la regola del corpo rigido proposta da Yang e Chiou nel 1987 rappresenta il primo test concepito specificamente per elementi non lineari. Questa regola impone che le forze iniziali su un elemento finito debbano ruotare e traslare insieme al corpo rigido, mantenendo invariati i loro valori, in modo da conservare l’equilibrio prima e dopo la rotazione rigida.

La regola del corpo rigido si inserisce in un quadro più ampio di metodi computazionali basati su principi fisici che garantiscono la coerenza tra la formulazione matematica e le leggi fisiche fondamentali. Solo elementi finiti coerenti, accompagnati da procedure incrementali-iterative fisicamente giustificate, assicurano soluzioni convergenti e precise nei problemi non lineari.

Inoltre, la regola del corpo rigido trova impiego anche nel calcolo e aggiornamento delle forze nodali durante i passi incrementali o iterativi dell’analisi non lineare, così come nell’elaborazione di matrici di rigidezza geometrica coerenti, fondamentali per descrivere correttamente il comportamento strutturale sotto deformazioni complesse.

È importante sottolineare che, per un elemento finito valido nell’ambito lineare, è imprescindibile che durante i movimenti rigidi del corpo esso manifesti zero deformazioni e zero sforzi (forze nodali nulle). Questa condizione è alla base del patch test, che verifica se un insieme di elementi attorno a un nodo comune può riprodurre coerentemente uno stato privo di deformazioni sotto movimenti rigidi.

Il patch test e il test degli autovalori valutano aspetti complementari della qualità dell’elemento: mentre il primo si concentra sulla capacità di riprodurre stati costanti di deformazione e sforzo, il secondo analizza la stabilità e l’invarianza rispetto ai modi rigidi. Tuttavia, entrambi restano insufficienti per assicurare la qualità di elementi non lineari, che richiedono una considerazione più ampia delle condizioni di carico iniziale e delle interazioni incremental-iterative.

Oltre a questi test, il lettore dovrebbe considerare l’importanza della formulazione teorica dell’elemento e la sua implementazione numerica. Errori teorici o di codifica possono introdurre meccanismi indesiderati o perdita di stabilità, difficili da rilevare senza una verifica approfondita. La scelta di elementi che soddisfino le condizioni di compatibilità, completezza e stabilità è essenziale per ottenere soluzioni affidabili.

Infine, è cruciale comprendere che la qualità degli elementi finiti non si misura solo con test formali, ma deve essere valutata in relazione al contesto applicativo, al tipo di analisi (lineare o non lineare) e al modello strutturale complessivo. La corretta interpretazione dei risultati e l’adozione di metodologie fisicamente coerenti costituiscono la base per un’analisi strutturale accurata e robusta.

Qual è l'importanza della configurazione di riferimento nell'analisi a buckling di travi tridimensionali?

Nel contesto dell'analisi strutturale lineare, gli effetti della variazione nella geometria della trave possono essere trascurati, rendendo irrilevante la scelta tra la configurazione iniziale C0C_0 o la configurazione deformata C1C_1 come riferimento. Tuttavia, per lo studio dell'instabilità a buckling di una trave tridimensionale, risulta più comodo riferire tutti i parametri fisici alla configurazione C1C_1. Ciò permette di applicare direttamente le relazioni derivate nella formulazione della teoria del buckling, come sarà dettagliato nella sezione dedicata.

Consideriamo un sistema di riferimento con l’asse xx coincidente con l’asse centroidale della trave, mentre gli assi yy e zz corrispondono alle direzioni principali della sezione trasversale. Le spostamenti di un punto generico NN alla sezione xx sono indicati con ux,uy,uzu_x, u_y, u_z, lungo le rispettive direzioni. Le deformazioni lineari risultano essere funzioni delle derivate spaziali di tali spostamenti e sono espresse, seguendo l'ipotesi di Bernoulli–Euler, considerando che le sezioni piane rimangono piane dopo la deformazione.

Questa ipotesi consente di esprimere gli spostamenti di un punto NN in funzione degli spostamenti del centroide della sezione e delle rotazioni angolari. Le deformazioni di taglio e normali risultano pertanto correlate a queste grandezze, e in particolare le deformazioni associate alla distorsione della sezione (componenti eyy,eyz,ezze_{yy}, e_{yz}, e_{zz}) si annullano, in accordo con l’ipotesi di sezioni indeformate.

Applicando la legge di Hooke alle deformazioni, si ottengono le corrispondenti tensioni: la tensione assiale è proporzionale alla deformazione assiale, mentre le tensioni di taglio dipendono dalle deformazioni di taglio e dal modulo di rigidezza GG. L’equilibrio delle forze e dei momenti sulla sezione permette di integrare tali tensioni e definire i risultanti, ovvero forza assiale, forze di taglio e momenti flettenti e torcenti.

La relazione tra forze e momenti con le deformazioni generalizzate si formalizza con le costanti meccaniche della sezione: area AA e momenti d’inerzia IyI_y e IzI_z. Grazie all’ortogonalità degli assi principali del centroide, si semplificano le espressioni e si possono ricavare le deformazioni a partire dai risultanti interni, e viceversa. Questo costituisce la base per la teoria lineare della trave solida.

Durante la fase di buckling, si considera la configurazione deformata successiva C2C_2 e si analizza il comportamento degli sforzi e delle deformazioni incrementali. A tal fine, si introducono due sistemi di coordinate: uno mobile, con assi η\eta e ζ\zeta ruotanti con la sezione deformata, e uno fisso, ancorato al centroide della sezione alla configurazione C1C_1. Gli spostamenti incrementali nella transizione da C1C_1 a C2C_2 si descrivono nuovamente con la stessa ipotesi di Bernoulli–Euler.

Gli sforzi alla configurazione C2C_2, espressi in termini delle coordinate del sistema C1C_1, includono ora effetti delle rotazioni sugli assi e si compongono di tensioni di Cauchy originali più incrementi di Kirchhoff, i quali riflettono le variazioni dovute alla deformazione non lineare. In particolare, i momenti risultano influenzati dalle rotazioni angolari, che generano termini addizionali nelle loro espressioni. Ciò dimostra come, durante l’instabilità, la relazione tra forze, momenti e deformazioni si complichi rispetto all’analisi lineare, richiedendo una trattazione accurata della geometria deformata e delle rotazioni.

È fondamentale sottolineare che questa descrizione permette di collegare la teoria classica della trave con l’analisi avanzata del buckling, fornendo una base matematica rigorosa e coerente per modellare la risposta non lineare e instabile delle strutture in spazi tridimensionali. La comprensione di tali passaggi è essenziale per sviluppare modelli computazionali efficaci e affidabili, che tengano conto sia degli effetti geometrici che meccanici.

Importante è riconoscere che l’ipotesi di sezioni piane indeformate, pur semplificando notevolmente il modello, limita l’accuratezza nelle situazioni di grandi deformazioni o nelle sezioni con geometrie complesse o materiali non lineari. Inoltre, la corretta individuazione e uso della configurazione di riferimento consente di separare gli effetti puramente geometrici da quelli materiali, aspetto cruciale per una precisa valutazione della stabilità. Questi dettagli sono indispensabili per un’interpretazione completa e rigorosa del comportamento delle travi sotto carichi critici.

Come testare la qualità della matrice di rigidezza in strutture spaziali

Nel contesto delle strutture spaziali, la qualità di un elemento finito, in particolare la sua capacità di rispondere ai movimenti rigidi, è fondamentale per garantire che le forze calcolate siano corrette e che l'elemento soddisfi le condizioni di equilibrio. La matrice di rigidezza, che descrive la risposta di un elemento a deformazioni, deve essere in grado di gestire non solo le deformazioni elastiche, ma anche i movimenti rigidi, senza compromettere l'equilibrio delle forze. La formulazione e la validazione della matrice di rigidezza sono quindi un passo cruciale per la progettazione di strutture complesse come quelle spaziali.

La deformazione di un elemento, come una trave, può essere espressa attraverso due forme principali di energia: l'energia di deformazione (δU) e l'energia potenziale (δV), le quali, sommate, devono essere equivalenti al lavoro esterno, come espresso dall'equazione (6.36). Quando vengono applicate le relazioni per i termini di questa equazione, si ottiene l'equazione della rigidezza per un elemento di struttura spaziale discreto (6.37), che include una matrice di momento indotto [ki] che deve essere posizionata sul lato sinistro dell'equazione.

Una parte essenziale della formulazione corretta di un sistema di elementi finiti è la verifica che l'equazione di rigidezza derivata possa rispondere correttamente al movimento rigido, il che è fondamentale per passare il test del corpo rigido. Questo test assicura che l'elemento non solo si comporti elasticamente, ma anche che mantenga un equilibrio coerente quando sottoposto a rotazioni rigide. Senza l'inclusione della matrice di momento indotto [ki], l'elemento non sarebbe in grado di soddisfare il test del corpo rigido, il che potrebbe portare a forze non equilibrate, compromettendo la validità del modello.

Quando si considera la matrice di rigidezza, è importante ricordare che l'inclusione delle forze iniziali è altrettanto cruciale. La matrice di rigidezza geometrica [kg] è funzione delle forze iniziali {1f}, ma questo non copre completamente l'effetto delle forze iniziali stesse. Un errore comune nella letteratura è quello di semplificare l'equazione incrementale di rigidezza trascurando la matrice [ki] e non trattando adeguatamente le forze iniziali. Questa semplificazione può compromettere la precisione della simulazione, soprattutto quando si eseguono analisi incrementali-iterative, dove le forze iniziali giocano un ruolo altrettanto importante quanto le forze incrementali.

L'inclusione corretta della matrice di momento indotto e della matrice di rigidezza geometrica consente di ottenere una soluzione che rispetti la fisica delle deformazioni e delle rotazioni rigide. L'equazione (6.38) mostra come le forze iniziali influenzano direttamente la risposta dell'elemento, e come queste debbano essere trattate separatamente in un'analisi accurata. La mancata separazione di queste forze, come avviene nell'equazione semplificata (6.39), può portare a un errore nell'interpretazione delle forze che agiscono sull'elemento.

Un altro aspetto importante riguarda il test del corpo rigido, che verifica se un elemento può eseguire un movimento rigido senza alterare l'energia di deformazione. Questo test richiede che la matrice di rigidezza soddisfi l'equazione (6.44), che lega le forze iniziali alle forze finali dopo una rotazione rigida. Se l'elemento supera questo test, significa che è stato correttamente formulato e che la matrice di rigidezza è affidabile per simulazioni che includono movimenti rigidi.

Quando si esegue il test del corpo rigido, bisogna considerare che un movimento rigido non deve alterare l'energia di deformazione. Se la matrice di rigidezza è corretta, l'equazione (6.43) sarà valida. L'inclusione della matrice di momento indotto [ki] è quindi cruciale per garantire che l'elemento possa comportarsi in modo fisicamente realistico anche in presenza di movimenti rigidi, evitando che le forze siano mal interpretate.

La capacità di un elemento di passare il test del corpo rigido è un indicatore fondamentale della sua qualità. Se un elemento non supera questo test, significa che potrebbe non essere in grado di fornire una soluzione corretta in scenari complessi, dove i movimenti rigidi sono prevalenti. In definitiva, il test del corpo rigido serve come strumento di verifica della qualità della matrice di rigidezza, che deve essere in grado di gestire correttamente sia le deformazioni elastiche che i movimenti rigidi senza compromettere l'equilibrio delle forze e garantire la coerenza fisica del modello.

Nel contesto della progettazione strutturale, è essenziale non solo considerare la rigidezza elastica degli elementi, ma anche la loro risposta ai movimenti rigidi. Un'analisi completa deve tenere conto sia delle forze iniziali che di quelle incrementali, e deve essere in grado di affrontare vari tipi di movimenti rigidi senza compromettere l'equilibrio del sistema. Un elemento che soddisfa questi criteri è in grado di rispondere correttamente a situazioni reali e di fornire simulazioni accurate per la progettazione di strutture complesse come quelle spaziali.