L’acalasia è una malattia rara e complessa dell’esofago, caratterizzata da un’alterazione nella capacità del muscolo esofageo di rilassarsi e spingere il cibo verso lo stomaco. La diagnosi è sempre più precisa grazie all’adozione della manometria ad alta risoluzione (HRM), che consente di individuare con maggiore accuratezza le caratteristiche di questa patologia. Ma quale trattamento scegliere e come affrontare le complicanze associate?

Le opzioni terapeutiche per l’acalasia sono varie e vanno dalla terapia conservativa, come l’iniezione di tossina botulinica, fino a interventi chirurgici più invasivi come la miotomia laparoscopica di Heller (LHM) e la miotomia endoscopica per via orale (POEM). Ogni trattamento ha vantaggi e svantaggi, e la scelta dipende da numerosi fattori, tra cui il tipo di acalasia, l’età del paziente, la gravità dei sintomi e la presenza di altre patologie.

La miotomia laparoscopica di Heller è un trattamento tradizionale che ha dimostrato buoni risultati, ma non è esente da complicazioni. La POEM, d’altro canto, è una tecnica relativamente recente che prevede la creazione di un tunnel sottocutaneo endoscopico per trattare direttamente il muscolo circolare dell’esofago inferiore. Questa tecnica ha mostrato un’elevata efficacia, soprattutto nei pazienti con acalasia di tipo III, ma non senza problematiche. Uno degli svantaggi principali della POEM è il rischio elevato di sviluppare esofagite da reflusso, che può compromettere la qualità della vita del paziente a lungo termine. Gli studi hanno mostrato che il 49% dei pazienti trattati con POEM sviluppa esofagite da reflusso, con l’8% di questi che presenta una forma grave di questa condizione.

Nel confronto tra POEM e dilatazione pneumatica (PD), un ampio studio randomizzato ha evidenziato che il tasso di successo a due anni era significativamente più alto nel gruppo POEM (92%) rispetto al gruppo PD (54%). Tuttavia, l’analisi post hoc ha suggerito che se ai pazienti nel gruppo PD fosse stata somministrata una dilatazione con pallone da 40 mm, il successo sarebbe aumentato al 76%. Questo suggerisce che la scelta del trattamento dipende anche dall’efficacia delle opzioni disponibili e dalla risposta individuale.

Nonostante i benefici di POEM per i pazienti con acalasia, esistono delle controindicazioni. Pazienti con ernia iatale nota o obesità grave (BMI > 40) dovrebbero evitare questo trattamento, in quanto corrono un rischio maggiore di sviluppare esofagite da reflusso post-POEM. Anche i pazienti con cirrosi epatica, ipertensione portale, o che hanno precedentemente ricevuto trattamenti radiali per l’esofago distale, sono da escludere dal trattamento POEM. La selezione del trattamento, quindi, richiede un’accurata valutazione medica.

L’acalasia, purtroppo, non è una condizione che può essere completamente curata con nessuna delle opzioni terapeutiche disponibili. La gestione della malattia è palliativa, focalizzandosi sull’alleviamento dell’ostruzione funzionale del LES (sfintere esofageo inferiore). Pertanto, il follow-up regolare è essenziale per monitorare il progresso della malattia e prevenire complicanze. Sebbene non esistano linee guida precise sul periodo di follow-up, molti esperti suggeriscono visite annuali o semestrali, durante le quali può essere eseguito un esame radiologico con il bario per valutare la funzione esofagea. La presenza di sintomi persistenti o di un vuotamento esofageo insufficiente è indice di una necessità di ulteriori trattamenti.

L’acalasia può anche comportare rischi a lungo termine, come lo sviluppo di carcinoma a cellule squamose dell’esofago, specialmente nei pazienti con megaesofago e cattivo vuotamento esofageo. Sebbene non esistano ancora linee guida ufficiali di screening, è ragionevole iniziare la sorveglianza endoscopica in pazienti con acalasia da più di 15 anni, particolarmente se accompagnata da dilatazione o tortuosità esofagea.

In sintesi, il trattamento dell’acalasia deve essere personalizzato, tenendo conto delle caratteristiche cliniche del paziente e delle potenziali complicanze. L’approccio multidisciplinare, che coinvolge gastroenterologi, chirurghi e altri specialisti, è spesso il migliore per garantire il successo a lungo termine e ridurre il rischio di complicazioni post-operatorie.

Come la Risonanza Magnetica e la Fluoroscopia Dinamica possono Migliorare la Diagnosi dei Disturbi dell’Evacuazione Intestinale

La diagnosi dei disturbi dell'evacuazione, come la stitichezza e l'incontinenza fecale, ha visto negli ultimi anni un significativo avanzamento grazie all'uso di tecniche diagnostiche avanzate come la fluoroscopia dinamica e la risonanza magnetica (RM). Questi strumenti, quando utilizzati in modo congiunto, offrono una visione dettagliata della meccanica e della fisiologia del pavimento pelvico, nonché dei processi coinvolti nell’evacuazione del materiale fecale, permettendo ai medici di formulare diagnosi più precise e di sviluppare trattamenti mirati.

La fluoroscopia dinamica, in particolare, è utilizzata per osservare la dinamica della defecazione in tempo reale. In un studio che coinvolge l'uso di una pasta di bario, 150 mL di materiale radio-opaco vengono introdotti nel retto del paziente per esaminare la sua capacità di evacuare. Sotto guida fluoroscopica, il paziente viene istruito a simulare l’atto della defecazione. Questa tecnica consente di individuare alterazioni strutturali nell'area ano-rettale, come prolassi rettali, rettoceli, intussuscezione, e sindrome del perineo discendente, e permette di diagnosticare la dissinergia defecatoria, una condizione in cui i muscoli del pavimento pelvico non rispondono correttamente durante l’evacuazione.

La risonanza magnetica (RM), invece, rappresenta un approccio non invasivo che offre una visualizzazione dettagliata dell'anatomia del pavimento pelvico. Utilizzando la RM, è possibile esaminare la struttura e il funzionamento dei muscoli sfinterici anali, dei muscoli del levatore dell’ano e dei tessuti circostanti, monitorando simultaneamente l’evacuazione delle feci. La RM è particolarmente utile in caso di sospette alterazioni della motilità pelvica, ed è spesso combinata con misurazioni del tempo di espulsione con palloncino o con la manometria anorettale, per una valutazione più completa dei disturbi defecatori.

L’uso della RM è fondamentale anche nel trattamento dei pazienti con diagnosi di disfunzione del pavimento pelvico, una condizione che può causare stitichezza o incontinenza fecale. Nei casi di stitichezza, ad esempio, la diagnosi può essere affiancata dall'analisi delle risposte muscolari tramite tecniche come la manometria colica, che misura il tono muscolare e la risposta del colon all’infiammazione o al distensione. Questo approccio è utile anche per diagnosticare la sindrome dell’intestino irritabile e altre patologie che interessano la motilità intestinale.

Inoltre, gli approcci farmacologici sono spesso combinati con trattamenti non farmacologici. Tra le terapie più efficaci per i disturbi defecatori e l’incontinenza fecale (FI), il biofeedback è considerato uno dei trattamenti principali. Questo metodo comportamentale si basa sull’idea di condizionamento operante e permette ai pazienti di riapprendere come coordinare i muscoli ano-rettali per ripristinare una defecazione normale. I dati suggeriscono che il biofeedback può essere efficace in circa il 70-80% dei pazienti, con risultati che possono perdurare anche un anno dopo il trattamento.

Altri trattamenti non farmacologici includono l'uso di capsule vibranti, che sono state recentemente approvate per il trattamento della stitichezza cronica. Queste capsule vengono assunte giornalmente per stimolare il movimento intestinale e facilitare l’evacuazione.

La diagnosi accurata dei disturbi defecatori è di fondamentale importanza anche per individuare la necessità di un intervento chirurgico. Sebbene la chirurgia non sia frequentemente necessaria, essa può essere presa in considerazione per i pazienti con sintomi refrattari che non rispondono ai trattamenti conservativi, o per coloro che presentano condizioni più gravi come la malattia di Hirschsprung o l'inertia colica. In questi casi, gli interventi chirurgici possono includere resezioni del colon o anastomosi ileorettali, ma è importante che il paziente sia ben informato e che la decisione venga presa congiuntamente con gastroenterologi e chirurghi proctologi.

Infine, tra le complicazioni più gravi della stitichezza troviamo le emorroidi, le fissurazioni anali, l’impattamento fecale, il prolasso rettale, le ulcere stercorali e le emorragie rettali, tutte condizioni che possono compromettere ulteriormente la qualità della vita del paziente e richiedere un trattamento immediato.

In sintesi, le moderne tecniche diagnostiche, come la fluoroscopia dinamica e la risonanza magnetica, sono fondamentali per la comprensione e il trattamento dei disturbi legati all’evacuazione intestinale. Oltre ai trattamenti farmacologici, le opzioni non farmacologiche come il biofeedback e l’uso di dispositivi specifici possono migliorare notevolmente la qualità della vita dei pazienti. Tuttavia, è cruciale un approccio multidisciplinare, che coinvolga specialisti in gastroenterologia, proctologia e chirurgia, per garantire un trattamento adeguato e tempestivo.

Quali sono le tecniche endoscopiche per la gestione del sanguinamento gastrointestinale superiore non varicoso?

Le tecniche endoscopiche per il trattamento del sanguinamento gastrointestinale superiore non varicoso (UGI) sono numerose e possono essere suddivise in due categorie principali: meccaniche (come le clips) e termiche (come i cateteri multipolari). Non esiste una modalità che si possa considerare superiore in modo definitivo; pertanto, la scelta della tecnica dipende dal tipo e dalla localizzazione della lesione, nonché dall'esperienza dell’endoscopista. L’epinefrina sottocutanea deve essere utilizzata in combinazione con un’altra modalità emostatica, non come monoterapia.

Le clips endoscopiche attraverso il sistema (OTSC) sono attualmente raccomandate per i pazienti con sanguinamento ulceroso recidivante dopo un intervento endoscopico precedente riuscito. Il trattamento con polvere emostatica endoscopica TC-325 può essere considerato per le lesioni sanguinanti attive come metodo temporaneo, quando l’uso di altre modalità è precluso dalle caratteristiche della lesione, come la scarsa visibilità. Questo trattamento è utile in vista di un intervento endoscopico successivo per una soluzione definitiva.

Anche le lesioni di tipo Dieulafoy, che sono arterie submucose dilatate e non ulcerate, possono essere trattate con tecniche simili a quelle utilizzate per l’ulcera peptica (PUD). Tuttavia, queste lesioni possono risultare difficili da identificare senza emorragia attiva, motivo per cui è consigliato posizionare un tatuaggio vicino alla lesione per facilitare il trattamento in caso di emorragia ricorrente. La diagnosi e il trattamento tempestivo sono cruciali, poiché la difficoltà di visualizzazione potrebbe precludere un intervento immediato.

Nel caso di fistole aorto-enteriche, che costituiscono una vera emergenza medica, è fondamentale la sospetta diagnosi clinica, spesso basata su una storia di chirurgia aortica pregressa. La gestione richiede un’indagine immediata con tomografia computerizzata contrastata e una consultazione chirurgica urgente. Queste lesioni possono presentarsi inizialmente con un piccolo episodio emorragico, seguito rapidamente da un sanguinamento massivo, che richiede un intervento tempestivo e altamente specializzato.

Per i pazienti con sanguinamento UGI non varicoso che non rispondono alla prima terapia endoscopica, la gestione può includere un secondo trattamento endoscopico. Questo approccio ha mostrato di riuscire a fermare il sanguinamento in oltre il 70% dei casi, con minori complicazioni rispetto alla chirurgia. Nella gestione del sanguinamento recidivante, le clips endoscopiche OTSC possono essere particolarmente utili. Per i pazienti che continuano a sanguinare nonostante i tentativi endoscopici, si può considerare l’embolizzazione arteriosa transcatetere eseguita dalla radiologia interventistica, con la necessità di consultazione chirurgica.

La gestione non endoscopica di un’ulcera peptica ad alto rischio prevede il trattamento con una terapia ad alte dosi di inibitori della pompa protonica (PPI), inizialmente somministrata per via endovenosa. Questo trattamento può durare tra i 2 e i 3 giorni, con una successiva continuità orale in dosi standard per un periodo che varia da 8 a 12 settimane, in base alla gravità e alle linee guida locali. Per le ulcere a basso rischio, non è necessario un trattamento con PPI ad alte dosi, e può essere previsto un trattamento orale ambulatoriale seguito da dimissione precoce.

Un altro aspetto fondamentale da considerare è la gestione dei farmaci anticoagulanti in pazienti con sanguinamento gastrointestinale acuto. Le linee guida recenti raccomandano di sospendere gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) e gli antagonisti della vitamina K in presenza di sanguinamento. In particolare, nei pazienti trattati con antagonisti della vitamina K, l’uso di concentrato complesso di protrombina (PCC) è preferibile rispetto al plasma fresco congelato (FFP) o alla vitamina K. Per i pazienti che assumono aspirina, è consigliato continuare la terapia per la prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari, a meno che non vi siano controindicazioni specifiche.

Oltre a quanto descritto, è fondamentale che i pazienti con PUD siano sottoposti a test per Helicobacter pylori, poiché la sua eradicazione è parte integrante del trattamento. È anche importante che, nel follow-up, venga eseguita una gastroscopia di controllo per monitorare l'evoluzione dell’ulcera e prevenire eventuali complicanze. Infine, la gestione farmacologica con PPI deve essere adattata al rischio individuale e monitorata nel tempo per evitare recidive e complicanze legate all’uso a lungo termine.

Quali sono i test migliori per lo screening del cancro del colon e come vengono utilizzati nella diagnosi?

Il test FIT (Fecal Immunochemical Test) è uno degli strumenti più comuni per lo screening del cancro del colon. Questo test, che rileva tracce di emoglobina nelle feci, ha il vantaggio di essere altamente specifico per l’emoglobina umana, senza confondersi con l'emoglobina proveniente da altre fonti animali, come quella della carne di manzo. Inoltre, alimenti come cavolo, cavolfiore o broccoli non provocano falsi positivi, un vantaggio significativo rispetto ad altri metodi di screening. Un altro aspetto interessante del test FIT è che l’emoglobina rilasciata a causa di sanguinamenti nell’apparato gastrointestinale superiore viene digerita, e di solito non reagisce immunologicamente con il test. Di conseguenza, i sanguinamenti provenienti dal tratto gastrointestinale superiore non causano risultati falsi positivi.

Per quanto riguarda l'aspirato nasogastrico (NG), l'analisi per la ricerca del sangue occulto nelle feci non è clinicamente utile. Questo tipo di test può frequentemente risultare falso positivo, a causa di sanguinamenti microscopici incidentali dovuti a traumi nasofaringei o esofagei durante l'inserimento del sondino nasogastrico.

Il test genetico fecale è un altro strumento diagnostico che può essere impiegato per identificare il cancro del colon. Questo test si basa sulla rilevazione di piccole quantità di DNA cellulare che vengono escrete con le feci dopo il passaggio delle feci attraverso il colon. Le mutazioni genetiche associate al cancro del colon, come la mutazione APC (marker per polipi adenomatous) e la mutazione BAT (marker per i difetti di riparazione dei mismatch), possono essere rilevate mediante PCR (reazione a catena della polimerasi) su campioni di feci. Nonostante la sensibilità di questo test per il cancro del colon sia stimata attorno all'80%, per gli adenomi avanzati la sensibilità è più bassa, limitandone l'applicabilità clinica. Tuttavia, ha una sensibilità maggiore rispetto al test di guaiaco, che può rilevare il sangue occulto nelle feci.

Il test di guaiaco per il sangue occulto nelle feci, nonostante la sua ampia diffusione, ha una sensibilità variabile in base al tipo di reagente utilizzato. Il test Hemoccult II-SENSA è uno dei più sensibili. Tuttavia, la sua capacità di rilevare il cancro del colon è solo moderata, con una sensibilità che raggiunge fino all'80% quando effettuato su tre giorni consecutivi per tenere conto dei sanguinamenti intermittenti. Questo test non è molto utile per rilevare gli adenomi del colon, poiché questi raramente sanguinano. La specificità del test di guaiaco, che si aggira intorno al 20-30%, lo rende utile in alcuni contesti, ma non è decisivo per la diagnosi di lesioni significative.

Un paziente con un test per il sangue occulto nelle feci positivo deve essere valutato clinicamente per identificare la fonte del sanguinamento. In assenza di sintomi, le persone con anemia da carenza di ferro e test positivo per il sangue occulto dovrebbero essere sottoposte a colonscopia. Se la colonscopia non rivela una fonte di sanguinamento o anemia, un'ulteriore indagine con esofagogastroduodenoscopia (EGD) può essere necessaria.

In merito all'anemia da carenza di ferro, questa si manifesta con sintomi clinici come pallore, debolezza, affaticamento, e talvolta anche dispnea da sforzo. In casi gravi, può insorgere insufficienza cardiaca congestizia ad alta portata. L'anemia microcitica e ipocromica è un indice tipico, con una percentuale di saturazione del ferro inferiore al 16%. Le giovani donne con anemia da carenza di ferro devono essere valutate attentamente, considerando la storia mestruale e ostetrica, in particolare se l'anemia non è proporzionale alla perdita di sangue mestruale.

Molti casi di anemia da carenza di ferro sono causati da sanguinamenti gastrointestinali cronici. Circa il 60% dei pazienti con anemia ferripriva avrà una causa identificabile tramite EGD o colonscopia. Tuttavia, il 40% rimane senza una causa definita. In questi casi, l’EGD può rilevare patologie del tratto gastrointestinale superiore, come ulcere duodenali o gastriche, mentre la colonscopia può identificare malattie del tratto inferiore, incluso il cancro del colon. In alcuni casi, la causa del sanguinamento può essere non gastrointestinale, come gravidanza, cistite, celiachia o carenze nutrizionali.

La definizione di sanguinamento gastrointestinale oscuro (GIBOO) si riferisce a sanguinamenti ricorrenti o persistenti senza una fonte identificabile, nonostante l’esecuzione di EGD, colonscopia e indagini radiologiche del piccolo intestino. Il sanguinamento può essere sia macroscopico che microscopico, ma è un fenomeno relativamente raro, rappresentando circa il 5% di tutti i casi di sanguinamento gastrointestinale. Con l'introduzione di nuove tecniche diagnostiche, come l'endoscopia a capsula e le tecniche endoscopiche del piccolo intestino, la capacità di rilevare la causa del sanguinamento oscuro è migliorata.

In alcuni casi, può essere necessario ricorrere a test radiologici per identificare la causa del sanguinamento oscuro, come la serie del piccolo intestino o l'enteroclisi. Tuttavia, questi esami hanno un rendimento limitato, e possono non rilevare patologie come le malformazioni artero-venose (AVM), che sono più facilmente identificate tramite endoscopia. La radiologia, pur essendo utile, ha i suoi limiti e non sostituisce completamente le tecniche endoscopiche.

Quali sono le opzioni chirurgiche per il trattamento del reflusso gastroesofageo (GERD) e quali sono i criteri per la loro scelta?

L'introduzione delle procedure minimamente invasive per il trattamento chirurgico del reflusso gastroesofageo (GERD) ha notevolmente incrementato il numero di interventi eseguiti. La possibilità di interrompere in modo definitivo il reflusso e di liberare i pazienti dalla dipendenza dai farmaci ha spinto i gastroenterologi a indirizzare più facilmente i pazienti verso la chirurgia. Le indicazioni più comuni per l'intervento comprendono il desiderio del paziente di controllare i sintomi senza farmaci, la persistenza dei sintomi nonostante la terapia medica massimale, la presenza di reflusso con componente regurgitativa prominente, ernie paraesofagee e complicanze del reflusso quali esofagite, esofago di Barrett, sanguinamenti, stenosi e ulcere mucosali (come l’ulcera di Cameron che causa anemia sideropenica cronica). In particolare, la chirurgia rappresenta il trattamento di scelta nei pazienti a rischio elevato di progressione della malattia, identificati tramite parametri quali reflusso notturno al pH-metria esofagea 24 ore, incompetenza strutturale del LES con pressione inferiore a 6 mm Hg, reflusso misto di succhi gastrici e duodenali e lesioni mucosali presenti al momento della diagnosi.

Nei pazienti con obesità patologica e GERD, la bypass gastrico Roux-en-Y è il trattamento preferenziale, spesso associato alla riparazione della eventuale ernia iatale, poiché oltre a risolvere il reflusso favorisce la perdita di peso e il miglioramento delle comorbidità correlate all’obesità.

Tutte le procedure chirurgiche di successo condividono caratteristiche fondamentali: creano un segmento intraaddominale dell’esofago, prevengono la recidiva dell’ernia paraesofagea quando presente e instaurano una valvola antireflusso efficace. Le tecniche più comuni includono la fundoplicatio totale di Nissen a 360°, la fundoplicatio parziale posteriore di Toupet a 270°, la fundoplicatio anteriore parziale di Dor a 180°, e altre varianti come la Belsey Mark IV, la fundoplicatio di Thal e quella di Watson. L’approccio chirurgico può essere addominale (open, laparoscopico o robotico), toracico (open, toracoscopico o robotico), o toraco-addominale, scelta che dipende da fattori anatomici e funzionali del paziente. Nei casi in cui l’esofago sia accorciato per infiammazione cronica, può essere necessario l’approccio toracico con gastroplastica di Collis per aumentare la lunghezza esofagea. Se la motilità esofagea è compromessa, si preferisce una fundoplicatio parziale per evitare la disfagia grave.

L’uso della chirurgia robotica è in crescita e offre risultati comparabili a quelli laparoscopici. Un’innovazione interessante è la modulazione magnetica dello sfintere esofageo inferiore, tramite sistemi come LINX, costituiti da anelli magnetici che aumentano la pressione del LES ma si aprono durante la deglutizione. Tuttavia, questa tecnica è associata a maggiori casi di disfagia rispetto alla fundoplicatio tradizionale. Sono disponibili anche trattamenti endoscopici non invasivi come il TIF (transoral incisionless fundoplication) e la terapia con radiofrequenza (Stretta), indicati per ernie iatali di piccole dimensioni o assenti, ma i dati a lungo termine sono ancora limitati.

La fundoplicatio laparoscopica di Nissen rimane il gold standard per la maggior parte dei pazienti. L’intervento prevede l’inserimento di diversi trocars nell’addome superiore per l’accesso laparoscopico, con identificazione e preservazione dei nervi vaghi. Vengono divisi i vasi gastrici brevi per mobilizzare il fondo gastrico e consentirne l’avvolgimento senza tensione intorno all’esofago distale (manovra “shoeshine”). L’esofago viene liberato fino a garantire almeno 3 cm di segmento intraaddominale libero da tensioni, spesso con dissezione mediastinica alta. I crura del diaframma vengono avvicinati con suture non riassorbibili e la fundoplicatio viene regolata con l’ausilio di un bougie per evitare stenosi. Il tessuto avvolto può essere fissato ai crura e all’esofago per prevenire l’erniazione toracica del wrap.

Il successo della chirurgia antireflusso è predetto da sintomi tipici di GERD (pirosi e rigurgito), da un pH esofageo anormale e da una buona risposta ai farmaci inibitori di pompa protonica preoperatoriamente. Al contrario, la presenza di sintomi gastrointestinali atipici, ernia paraesofagea di grandi dimensioni, stenosi con disfagia persistente e esofago di Barrett sono indicatori di risultati meno favorevoli.

La chirurgia offre benefici che la terapia medica non può garantire: rafforza il LES, ripara le ernie iatali, impedisce il reflusso di succhi gastrici e duodenali e previene l’aspirazione. Inoltre, migliora la motilità esofagea e accelera lo svuotamento gastrico, spesso rallentato nei pazienti con GERD. Oltre il 90% dei pazienti ottiene un sollievo sintomatico duraturo, può seguire una dieta normale e manifesta elevata soddisfazione.

Le complicanze dopo fundoplicatio laparoscopica variano dal 2% al 13%, prevalentemente di lieve entità (ritenzione urinaria, distensione gastrica postoperatoria, infezioni superficiali). La disfagia iniziale lieve si verifica nel 15%-20%, ma diminuisce a meno del 5% dopo 3 mesi, con meno dell’1% dei casi che richiede interventi. Rari sono i casi in cui è necessaria la splenectomia o la conversione a chirurgia open. La morbilità maggiore (lesioni esofagee, gastriche, fistole, pneumotorace) si aggira tra il 2% e il 10%, con mortalità fino allo 0,5%, rendendo la procedura relativamente sicura.

Il GERD è spesso associato a diverse forme di ernia iatale: la più comune è la ernia iatale da scivolamento (tipo I), caratterizzata dallo spostamento dell’angolo gastroesofageo nel mediastino posteriore; meno frequente è l’ernia paraesofagea vera (tipo II), in cui il fondo gastrico si disloca verso l’alto accanto a un angolo gastroesofageo normale; il tipo III combina elementi di entrambi.

È fondamentale che il paziente comprenda come la scelta della procedura chirurgica e la sua efficacia dipendano non solo dalle caratteristiche anatomiche e funzionali del proprio reflusso, ma anche dall’esperienza del chirurgo esofageo e da una valutazione completa preoperatoria. La chirurgia antireflusso, pur essendo una soluzione definitiva per molti, non è priva di rischi e possibili complicanze, e richiede un percorso di follow-up attento. La comprensione approfondita del decorso clinico, delle alternative terapeutiche e delle potenziali complicanze è indispensabile per una decisione consapevole e per ottimizzare i risultati a lungo termine.