Il contesto storico in cui Jawaharlal Nehru emerse come una figura di primo piano nella lotta per l'indipendenza dell'India fu segnato dalla Prima Guerra Mondiale, che sebbene lontana, suscitò in lui un forte senso di partecipazione. In quel periodo, il governo britannico stava cercando di organizzare una forza di difesa indiana, ma Nehru, pur non simpatizzando con la causa britannica, vide in questa iniziativa una possibilità di addestramento militare per i giovani indiani della classe media. Tuttavia, quando Mrs. Annie Besant, una figura di spicco del Congresso e fondatrice della Home Rule League, venne arrestata, Jawaharlal Nehru e altri leader moderati riconsiderarono il loro sostegno a tale iniziativa, opponendosi così alla repressione coloniale.

Questo fu il momento in cui Jawaharlal si rese conto della differenza tra coloro che parlavano della necessità di liberarsi dal dominio straniero e coloro che, di fronte all'azione concreta, esitavano. La sua frustrazione crebbe quando capì che la liberazione dell'India non sarebbe stata raggiunta solo con dichiarazioni, ma con azioni decisive. Mentre alcuni, come suo padre Motilal Nehru, ancora sostenevano posizioni più moderate, l'ingresso di Mahatma Gandhi nel panorama politico indiano segnò un punto di svolta decisivo. Gandhi, già noto per il suo lavoro in Sud Africa, incontrò Jawaharlal per la prima volta al Congresso di Lucknow nel 1916. La sua figura, semplice e discreta, passò inosservata tra la folla, ma fu proprio Motilal Nehru a riconoscere in Gandhi una forza di carattere straordinaria, destinata a influenzare profondamente la politica indiana.

Un evento che scosse profondamente Jawaharlal e la sua famiglia fu il massacro di Jallianwala Bagh, avvenuto nel 1919. La brutalità della repressione britannica, con la strage di centinaia di indiani disarmati da parte delle truppe coloniali, fu un catalizzatore che spinse Motilal a rivedere le proprie convinzioni. La violenza insensata del regime coloniale non poteva più essere tollerata, e Nehru si avvicinò sempre più alla visione di Gandhi, riconoscendo la potenza della non-violenza come strumento di lotta politica.

La vera trasformazione di Jawaharlal, tuttavia, avvenne durante un episodio che all'inizio sembrò di poco conto. Nel 1920, mentre si trovava a Mussoorie con la sua famiglia, fu costretto a lasciare il luogo dopo essersi rifiutato di firmare un impegno che lo escludeva dal contatto con una delegazione afghana. Nonostante non avesse un interesse particolare a incontrare gli afghani, il principio di libertà e di autodeterminazione divenne per lui un valore imprescindibile. In seguito, tornò ad Allahabad e incontrò un gruppo di contadini che si battevano contro l'oppressione dei grandi proprietari terrieri. Questo incontro rappresentò il primo vero contatto di Nehru con il popolo indiano, in particolare con le classi rurali, le cui condizioni di vita miserevoli lo segnarono profondamente.

Per la prima volta, Nehru si rese conto della realtà delle vite di milioni di indiani, spesso ignorata dalle élite educative e politiche. I contadini che incontrò erano oppressi da tasse insostenibili e da un sistema feudale che li rendeva schiavi dei loro stessi terreni. La povertà, la malnutrizione e la malattia erano la quotidianità di gran parte della popolazione rurale. Questa esperienza cambiò la sua visione del mondo e divenne per lui chiaro che la sua lotta per l'indipendenza non si sarebbe limitata alla liberazione dai colonizzatori britannici, ma avrebbe incluso anche una battaglia per la giustizia sociale.

Le sue parole divennero sempre più dirette e il suo legame con le masse si fece sempre più forte. A differenza di altri leader, Jawaharlal si avvicinava alla gente comune, parlando in modo semplice e diretto. La sua capacità di catturare l'attenzione di ampie folle, di farsi ascoltare nei villaggi più lontani, lo rese una figura di riferimento per milioni di indiani che cercavano un cambiamento reale. Non più l'élite, ma il popolo divenne il suo punto di riferimento. A questo punto, Jawaharlal si stava forgiando come un leader capace di unire le diverse anime dell'India in una lotta condivisa per la libertà e l'indipendenza.

La sua crescente empatia verso le sofferenze delle persone lo portò a un punto di svolta cruciale: non era più solo un intellettuale, ma un uomo che condivideva i sogni e le aspirazioni delle persone comuni. Questa nuova visione lo avrebbe guidato nelle fasi successive della sua vita politica, consolidando il suo ruolo di leader nella lotta contro il dominio britannico e nella costruzione di una nuova India.

L'importanza di questo processo di maturazione politica di Jawaharlal Nehru non si limita alla semplice narrazione di eventi storici. Il lettore dovrebbe comprendere che la trasformazione di un uomo da moderato e intellettuale in un leader carismatico per le masse non è mai un processo immediato o semplice. È frutto di esperienze concrete, di incontri con le persone reali, di conflitti interni e di un lungo cammino di consapevolezza. Solo attraverso questo processo, Nehru fu in grado di trovare una strada che non solo lo portò a combattere per l'indipendenza, ma anche a plasmare la visione di una nuova India.

Come viveva un prigioniero politico: l’esperienza di Jawaharlal Nehru

Nel dicembre del 1921 e gennaio del 1922, circa 30.000 indiani furono arrestati e condotti in prigione come prigionieri politici. Tra loro, Jawaharlal Nehru e suo padre Motilal si abituarono presto all'idea di finire in carcere. Nella sua autobiografia, Jawaharlal racconta l’esperienza della prigionia con un tono riflessivo, esprimendo la solitudine e l’isolamento che accompagnano la reclusione. "In prigione mancano molte cose, ma forse la cosa che più di tutte si sente la mancanza è il suono delle voci femminili e delle risate dei bambini. I suoni che si sentono di solito non sono certo tra i più piacevoli. Le voci sono dure e minacciose, e il linguaggio brutale, per lo più composto da parolacce", scrive.

Nella prigione del distretto di Lucknow, una volta si rese conto che non aveva sentito un cane abbaiare per sette o otto mesi, un’assenza che lo colpì in modo inaspettato. I prigionieri politici come Jawaharlal avevano la possibilità di leggere libri e giornali, e occasionalmente i parenti potevano venire a trovarli. Kamala, la moglie di Jawaharlal, soffriva di cattiva salute durante il primo periodo di prigionia del marito, ma quando egli fu arrestato una seconda volta per organizzare un picchetto contro i negozi che continuavano a vendere stoffa straniera, lei venne a trovarlo più spesso. Indira, la loro piccola figlia, non stava bene, ma nonostante ciò appariva allegra, anche se visibilmente più magra e debole. Questo stato di salute della figlia preoccupava Jawaharlal, che già a quell'epoca si preoccupava dell'educazione della bambina. In una lettera al padre Motilal, scrisse: "Kamala dice che Indu sta diventando sempre più difficile e non presta attenzione a nessun tipo di studio. Mi piacerebbe che si trovasse un accordo per le sue lezioni. Sono sicuro che riuscirei a gestirla facilmente, ma mi trovo nella baracca n. 4". È evidente che da un lato Jawaharlal voleva essere presente per la crescita della figlia, ma dall’altro si trovava intrappolato nella sua condizione di prigioniero.

Durante la prigionia, Jawaharlal poté dedicarsi alla lettura dei libri che amava. La sua mente rimase attiva nonostante la condizione di detenzione, e la lettura fu per lui una via di fuga. Scrisse più volte a Kamala, chiedendo di inviargli specifici libri. Quando apprese che sarebbe stato rilasciato, ne parlò nel suo diario con incredulità: "Riceviamo la notizia con grande calma e un po' di incredulità. Il direttore del carcere però insiste che saremo scarcerati. Se così fosse, immagino che dovremmo sopportarlo, anche se l'ultimo volume di Gibbon non è ancora stato letto".

Il pensiero che Jawaharlal nutriva nei confronti della politica di Gandhi, che si stava sviluppando, non era sempre univoco. Gandhi aveva deciso di interrompere il movimento di non cooperazione dopo l’incidente di Chauri Chaura, dove ventidue poliziotti furono bruciati vivi durante una rivolta. Jawaharlal e Motilal furono sconvolti da questo episodio, ma credevano che il movimento dovesse continuare. Gandhi, pur non perdendo la fede nel movimento, voleva indirizzarlo verso canali più pratici. Secondo Gandhi, "ottenere lo Swaraj attraverso la disobbedienza civile è un’impossibilità", a meno che non si fosse raggiunta la capacità di boicottare il tessuto straniero e incentivare la tessitura e l'unità tra induisti e musulmani.

Nel frattempo, Jawaharlal celebrò il suo trentatreesimo compleanno nella prigione di Lucknow. Le giornate spensierate delle feste di compleanno erano ormai un ricordo lontano. Mentre Jawaharlal era in prigione, la salute di Kamala peggiorò ulteriormente, aggravata dalla sua malattia cronica. La situazione domestica di Jawaharlal si mescolava con i suoi impegni politici, e pur mantenendo una profonda devozione nei confronti di Gandhi, non esitava a disapprovare alcune delle sue decisioni. Stranamente, era Motilal, così diverso da Gandhi per natura, a facilitare una migliore comprensione tra il figlio moderno e razionale e il Mahatma tradizionalista e religioso.

Nel 1924, dopo essere stato liberato dalla prigione, Gandhi scrisse a Jawaharlal cercando di risolvere le incomprensioni familiari. "Ho la tua lettera personale, molto toccante", scrisse Gandhi, esprimendo preoccupazione per la difficile relazione tra Jawaharlal e il padre. Gandhi cercava di risolvere ogni tensione, invitando Jawaharlal a parlare apertamente con il padre per evitare qualsiasi gesto che potesse offendere la sua sensibilità.

Poco dopo, nel settembre del 1924, scoppiano nuove violenze tra induisti e musulmani a Kohat, con la morte di 155 persone. Gandhi, nel tentativo di calmare la situazione, intraprese un lungo digiuno per favorire la pace e l'unità tra le due comunità. Tuttavia, come sottolineato da Gandhi stesso, le ragioni di questo digiuno erano molto più profonde di quanto fosse possibile spiegare a parole. La sua intenzione non era di risolvere la violenza con l'odio, ma di cercare la conciliazione tra le diverse fazioni.

Nel frattempo, la salute di Kamala peggiorò ulteriormente, manifestando segni evidenti di tubercolosi. I medici consigliarono un viaggio in Svizzera per il suo trattamento, e Jawaharlal decise di accompagnarla.

Oltre a questi eventi politici e familiari, ci sono altre riflessioni che vale la pena considerare. Durante il periodo di prigionia, Jawaharlal non solo rifletteva sulla politica, ma si sforzava anche di mantenere il legame con la sua famiglia nonostante la distanza. Le sue lettere a Kamala e la sua preoccupazione per l'educazione della figlia Indira rivelano una figura paterna estremamente attenta, che cercava di supplire alla propria assenza con parole e consigli. La sua prigionia non fu solo un'esperienza di sofferenza, ma anche un'opportunità di crescita intellettuale e spirituale. Le difficoltà personali e politiche, pur appesantendo la sua vita, non riuscirono mai a spezzare la sua determinazione.

Come l'indipendenza dell'India è diventata una realtà: il ruolo cruciale di Jawaharlal Nehru e della famiglia Nehru nella lotta per la libertà

Il Congresso Nazionale Indiano, sotto la presidenza di Motilal Nehru, si trovò a un bivio cruciale quando si trattò di decidere quale sarebbe stato il futuro del paese. Nonostante gli sforzi di Motilal per promuovere un accordo con il governo britannico, il punto di rottura arrivò quando il Congresso decise che, se entro un anno il governo britannico non avesse concesso lo Status di Dominio, il Congresso avrebbe insistito per l'indipendenza totale. Ma Jawaharlal Nehru, purtroppo, non si accontentava di compromessi: "L'indipendenza per noi significa completa libertà dalla dominazione britannica e dall'imperialismo", dichiarò, tracciando la linea di demarcazione tra un progresso parziale e una vera e propria indipendenza.

Questo fu il tema centrale del suo discorso nel 1929, quando assunse la presidenza del Congresso. Gandhiji, che aveva precedentemente parlato con Jawaharlal prima di proporlo per la presidenza, gli chiese: "Ti senti abbastanza forte per sopportare il peso?" Jawaharlal rispose con fermezza: "Se mi viene imposto, spero di non recedere". A quarant'anni, Jawaharlal divenne il primo uomo a succedere al padre come presidente del Congresso, un evento storico che non passò inosservato. Motilal, padre orgoglioso, esprimeva la sua gioia dicendo: "La cosa di cui sono più fiero è che sono il padre di Jawaharlal".

La sua leadership non fu mai messa in discussione, e la città di Lahore lo accolse come un eroe durante la sessione del Congresso a fine anno. Jawaharlal non si limitò a gestire un movimento, ma lo modellò con visione e determinazione. Nella sua celebre dichiarazione a Lahore, affermò: "Il successo arriva spesso a coloro che osano e agiscono; raramente va a chi è timido e teme le conseguenze. Noi giochiamo per scommesse alte: se vogliamo ottenere grandi cose, possiamo farlo solo affrontando grandi pericoli".

L'indipendenza totale divenne l'obiettivo ufficiale, e per i successivi diciotto anni il Congresso, sotto la guida di Gandhiji e Jawaharlal, non si fermò davanti a nulla pur di raggiungere quel sogno.

Dopo la sessione di Lahore, Motilal Nehru prese una decisione significativa: donare la sua residenza di Anand Bhawan ad Allahabad alla nazione, trasformandola nella sede del Comitato Centrale del Congresso. Questo atto simbolico segnò un punto di non ritorno nella lotta per l'indipendenza. Tuttavia, nonostante gli impegni presi dal Congresso, il governo britannico non rispose positivamente alle richieste di riforma. Fu necessario allora intraprendere azioni concrete per stimolare una risposta.

Fu Gandhiji a proporre la famosa protesta contro la tassa sul sale, un'idea che si rivelò fondamentale per l'escalation della lotta. "Il sale è l'unica cosa che i poveri devono mangiare", disse Gandhiji. Il 12 marzo 1930, partì con i suoi seguaci per il villaggio di Dandi, dove violò la legge raccogliendo sale dalla riva del mare. Questo atto simbolico suscitò una risposta straordinaria da parte della popolazione, che cominciò a produrre illegalmente il sale. Il governo britannico, che inizialmente non aveva preso sul serio la protesta, reagì duramente. Jawaharlal fu arrestato ad Allahabad il 14 aprile per aver violato la legge sul sale e imprigionato a Naini per sei mesi.

Nonostante le dure repressioni, la protesta si diffondeva rapidamente. Non solo le persone violavano la legge sul sale, ma iniziò anche un boicottaggio diffuso dei tessuti stranieri. La resistenza si estese in ogni angolo del paese, includendo un numero crescente di donne che parteciparono attivamente alla lotta. Kamala Nehru, pur debilitata dalla malattia, fu tra le più attive, diventando una figura di riferimento per la città di Allahabad.

Nel frattempo, si susseguirono negoziati con il governo britannico. Gandhiji insistette che qualsiasi trattativa dovesse essere decisa in accordo con Jawaharlal e Motilal. Quando il Viceré permise loro di incontrarsi con Gandhiji a Poona, le discussioni si conclusero con l'accordo che Gandhiji avrebbe partecipato alla Conferenza di Round Table a Londra, con le condizioni che l'India avesse il diritto di lasciare l'Impero britannico e che fosse riconosciuto un governo nazionale. Tuttavia, il Viceré non accettò queste richieste, e i Nehru furono rimandati in prigione.

La salute di Motilal, però, peggiorò rapidamente. Dopo un mese di prigionia, venne rilasciato, ma il suo stato di salute era ormai gravemente compromesso. La riunione familiare a Mussoorie con Jawaharlal e Kamala fu un momento di serenità, ma anche di malinconia, poiché la malattia di Motilal si stava aggravando. Nel dicembre del 1930, Motilal Nehru morì, lasciando un vuoto che avrebbe pesato sul futuro della lotta per l'indipendenza. Jawaharlal si ritrovò ora a dover affrontare il peso della sua eredità.

In quei giorni di lotta e sacrifici, la figura di Jawaharlal Nehru si stava consolidando come il leader indiscusso del movimento, la cui visione e determinazione sarebbero state fondamentali per la realizzazione dell'indipendenza. La sua eredità, però, non si limitava ai successi politici: era anche una storia di sacrificio personale, in cui la famiglia, la fede nel futuro e la lotta per la giustizia si intrecciavano.