La stampa, come spesso accade con le innovazioni tecnologiche, non è stata determinata unicamente dalla tecnologia stessa, ma dalla società che l’ha accolta e integrata. In questo contesto, la figura di Johannes Gutenberg emerge come simbolo indiscusso dell’invenzione della stampa con caratteri mobili. Tuttavia, la sua è una storia che potrebbe non essere completamente sola. Società, religione e necessità pratiche della sua epoca potrebbero aver spinto anche altri esperimentatori in luoghi come Avignone e Praga a percorrere simili strade, suggerendo che l'idea della stampa non sia stata frutto di un unico “eureka”, ma una risposta collettiva a esigenze sociali emergenti.
Se consideriamo la nascita della stampa come una singola "invenzione", il quadro che ci viene proposto dai manuali storici è quello di un evento chiaro e definito: Gutenberg, Mainz, fine degli anni '30 del 1400, la scoperta di una tecnologia che cambierà il corso della storia. Ma se esaminiamo la questione più da vicino, ci rendiamo conto che la "scoperta" potrebbe essere stata meno un momento di genio solitario e più un fenomeno collettivo in cui più menti, in luoghi diversi, si sono trovate a rispondere alle medesime necessità sociali e culturali.
La stampa con caratteri mobili ha soddisfatto un bisogno urgente di diffusione del sapere. Nel contesto di una crescente alfabetizzazione e di una religione che stava attraversando significativi cambiamenti (come evidenziato dalle rivoluzioni protestanti), la necessità di moltiplicare e distribuire i testi divenne impellente. All'inizio del XV secolo, la Chiesa cattolica, che fino a quel momento deteneva un controllo assoluto sulla produzione dei testi religiosi, cominciò a vedere minacce provenienti da nuovi movimenti di pensiero e nuove forme di comunicazione. La stampa, quindi, non solo rispondeva a una domanda crescente di testi, ma rispondeva anche a una necessità di controllo e diffusione della conoscenza in un’epoca in cui la religione era indissolubilmente legata al potere politico e sociale.
Tuttavia, la figura di Gutenberg non è l'unica ad essere legata alla nascita della stampa. In effetti, molti altri tentativi di stampa, in città diverse e in periodi simili, potrebbero essere stati contemporanei, ma sono stati dimenticati o mai documentati adeguatamente. Le tecnologie di stampa simili a quella che successivamente prenderà piede in Occidente sono state sviluppate anche in altre parti del mondo, sebbene siano passate inosservate o siano state sovrastate dal dominio europeo. L’impressione che Gutenberg sia stato l’unico artefice del progresso tecnologico della stampa potrebbe derivare dalla sua abilità non solo nell'inventare, ma anche nel commercializzare e diffondere la propria invenzione in modo efficace.
Il concetto di stampa e la sua applicazione nella società non si limitano semplicemente alla duplicazione di testi. La tecnologia della stampa ha avuto un impatto profondo e duraturo non solo sulla produzione del libro, ma anche sulla diffusione dell'informazione e sulla democratizzazione della conoscenza. In tal modo, ha fornito il terreno fertile per il nascere di nuove forme di comunicazione, tra cui il giornalismo e l’informazione politica. L’introduzione della stampa ha quindi trasformato la società in modo radicale, dando il via a una serie di cambiamenti nelle modalità di comunicazione, con effetti che si sono riverberati anche sulla religione, sulla politica e sull'economia.
La comprensione della storia della stampa richiede dunque un'analisi che vada oltre il mito dell'invenzione solitaria. Essa implica una riflessione più profonda su come le innovazioni, in particolar modo quelle tecniche, nascano in risposta a necessità condivise da molti, piuttosto che da intuizioni singolari di individui isolati. In questo contesto, è importante ricordare che la storia della stampa è una storia collettiva di trasformazione sociale, nella quale la tecnologia non è mai stata un fattore determinante in sé, ma piuttosto una risposta alle dinamiche sociali e culturali dell'epoca.
Dopo Gutenberg, infatti, le tecnologie di stampa si sono evolute rapidamente, tanto che in breve tempo la stampa è diventata uno strumento fondamentale per la diffusione di idee, notizie e cultura. Tuttavia, come spesso accade con le innovazioni, le stesse tecnologie che hanno consentito la democratizzazione della conoscenza sono state anche utilizzate per consolidare il potere. I giornali, i fogli volanti e le pubblicazioni politiche che seguiranno dimostreranno come la stampa diventi non solo uno strumento di comunicazione, ma anche un mezzo di manipolazione e controllo delle masse. In questo senso, la storia della stampa è anche una storia di lotte per il controllo dell'informazione.
L’importanza di questa riflessione risiede nel fatto che la tecnologia non è mai neutrale. Le innovazioni possono essere orientate in diverse direzioni a seconda delle circostanze sociali, politiche e culturali in cui si sviluppano. La storia della stampa ci insegna che ogni nuova tecnologia ha il potenziale di cambiare radicalmente la struttura sociale e culturale, ma che questi cambiamenti dipendono anche dall’uso che ne fa la società stessa. Comprendere questo processo è fondamentale non solo per leggere correttamente la storia, ma anche per capire come le tecnologie moderne – dalla stampa alla rete – possano continuare a plasmare la nostra realtà.
La creazione della notizia: come i giornalisti plasmano la realtà
Il mondo della stampa ha sempre avuto una relazione complessa con la verità, che ha oscillato tra la pura osservazione dei fatti e l’intervento attivo nella creazione della notizia stessa. Prendiamo come esempio la carestia che colpì la Russia e l’Ucraina nei primi anni del decennio successivo alla rivoluzione e alla guerra civile. Un evento che, purtroppo, causò la morte di milioni di persone e suscitò l’interesse e la preoccupazione di tutta l’Europa, generando anche sforzi di soccorso da parte dell’Occidente, che proseguirono fino al 1923. Tuttavia, alcuni giornali, come il Mail, nel riportare le azioni del Primo Ministro britannico Macdonald, omisero questo contesto cruciale. La notizia che lanciava la sua proposta di prestare denaro all’URSS, senza menzionare la precedente accordo commerciale del 1921 o il fatto che il prestito riguardasse una somma originariamente presa in prestito dallo zar, rappresenta una manipolazione di fatti che, pur non essendo una falsificazione esplicita, nasconde deliberatamente il contesto. Il silenzio, come la distorsione deliberata della realtà, è uno strumento che la stampa ha imparato a maneggiare con crescente destrezza.
Nel corso dei secoli, la stampa ha acquisito una nuova strategia: il superamento della neutralità e dell’oggettività. Il giornalismo, un tempo visto come un campo di pura osservazione e reportage imparziale, si è evoluto, diventando sempre più consapevole del proprio potere di influenzare e persino creare gli eventi. La nozione di "neutralità" è diventata sempre più una retorica, spesso abbandonata in favore di una pratica che riconosce apertamente la necessità di intervenire nel mondo per generare contenuti. Ciò che un tempo sarebbe stato considerato un tradimento dei principi fondamentali del giornalismo, oggi viene visto come una parte legittima del processo.
Prendiamo come esempio James Gordon Bennett Sr., che divenne il dominatore del mercato giornalistico di New York nel XIX secolo. Il suo New York Herald era il primo quotidiano a trattare in maniera sistematica la borsa di Wall Street, ma il suo vero genio stava nel soddisfare i gusti del pubblico per la sensazione, senza però ricorrere alla fiction. Era abile nel raccontare omicidi, crimini e scandali, come nel caso dell'omicidio della prostituta Ellen Jewitt, di cui fece un reportage sensazionalistico. In questo caso, Bennett non si limitò a riportare i fatti, ma li creò attivamente. Intervistò testimoni, si recò sulla scena del crimine, attraversò la linea della polizia e fece delle dichiarazioni che, pur rispecchiando la realtà dei fatti, divennero esse stesse parte dell’evento. Bennett non fu mai un semplice spettatore, ma un partecipante, contribuendo in modo decisivo al racconto dell'evento.
L'evoluzione del giornalismo e delle tecniche utilizzate per raccontare le notizie ha visto la nascita di quella che oggi chiamiamo "intervista". Gordon Bennett fu tra i primi a utilizzare questa tecnica in modo sistematico, ma all'epoca l'intervista era vista con sospetto da molti professionisti del settore. Era considerata una pratica troppo vicina alla politica, alla propaganda, o addirittura all'opportunismo. Tuttavia, con il passare degli anni, questa forma di giornalismo è diventata non solo accettata, ma anche fondamentale. Alcuni, come W.T. Stead, editor del Pall Mall Gazette, scrissero che l'intervista stava diventando sempre più centrale nel giornalismo moderno, nonostante le resistenze.
Questa evoluzione ha avuto un impatto fondamentale sul modo in cui vengono raccontati gli eventi. L’incontro tra Henry Stanley e David Livingstone nel 1871, noto per la famosa frase “Doctor Livingstone, I presume?”, non era solo un’intervista. Stanley non era lì solo per riferire l'incontro, ma per "creare" la notizia, per provocarla. Questo approccio divenne ancora più evidente con il passare degli anni, quando la stampa iniziò a considerare la produzione di contenuti come una parte essenziale del suo lavoro. Così come Bennett aveva "creato" la notizia sull'omicidio di Ellen Jewitt, Stanley aveva creato l’incontro con Livingstone, un incontro che non avrebbe avuto luogo senza il suo intervento.
Il giornalismo, dunque, si è trasformato in una pratica sempre più consapevole del proprio potere. Le tecniche per creare contenuti esclusivi si sono perfezionate, ma con esse è cresciuta anche la consapevolezza che l'intervento del giornalista nel corso degli eventi può distorcere la realtà. La ricerca della sensazione e della vendita delle notizie a scapito della verità pura è una pratica che si è consolidata nel tempo, spingendo i giornalisti a diventare sempre più protagonisti nelle storie che raccontano.
In questo contesto, è fondamentale che i lettori comprendano che le notizie non sono mai semplicemente il frutto di una mera osservazione. Ogni reportage, ogni intervista, ogni racconto giornalistico è frutto di una selezione di fatti e di un processo di costruzione della realtà. La vera sfida per i lettori è imparare a riconoscere non solo ciò che viene raccontato, ma anche ciò che potrebbe essere stato omesso o modificato per rispondere a interessi editoriali o ideologici. L’oggettività non è più un dato di fatto, ma un obiettivo che va continuamente interrogato.
L’indipendenza della BBC e il ruolo delle informazioni: tra verità e censura
La BBC, come una delle istituzioni mediatiche più prestigiose al mondo, ha sempre mantenuto una reputazione di imparzialità e autonomia. Tuttavia, la sua storia è stata caratterizzata da compromessi politici, pressioni governative e persino interventi della sicurezza nazionale che ne hanno modellato il ruolo all’interno della società britannica. Sebbene la BBC sia stata spesso percepita come una voce indipendente, la sua struttura e il suo funzionamento sono stati, sin dagli inizi, influenzati da forze esterne, soprattutto quelle politiche.
Durante il periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale, la BBC non si dedicava a indagini investigative in senso stretto, come invece facevano i giornali dell'epoca. Le sue trasmissioni, infatti, erano più orientate a un tipo di giornalismo "innocuo", privo della scaltrezza e della critica che si sarebbero sviluppate nei decenni successivi. George Orwell, che ha lavorato per la BBC durante il conflitto mondiale, osservò che le trasmissioni della BBC erano spesso piene di banalità, e che non si affrontavano mai questioni di rilevanza politica o sociale con la stessa schiettezza che si sarebbe vista anche nella stampa più conservatrice. Questa realtà, tuttavia, non era solo una questione di paura o timidezza: la BBC, infatti, era soggetta a un controllo diretto e indiretto che ne limitava la libertà di espressione.
Una delle pratiche più controverse che ha caratterizzato la storia della BBC è stata la collaborazione con i servizi segreti. A partire dal 1935, l'MI5 aveva un ufficio all'interno del Broadcasting House, e ogni assunzione che fosse considerata "sensibile" veniva esaminata dai suoi agenti. Si stima che, durante un lungo periodo, un quarto di tutte le assunzioni venisse controllato dalla sicurezza britannica, un aspetto che rimase nascosto fino agli anni '80, quando un'inchiesta giornalistica svelò la realtà di questo coinvolgimento.
Oltre alla sorveglianza diretta, ci furono altre forme di censura e manipolazione dell'informazione. Un esempio lampante riguarda il leader liberale John Beveridge, che nel 1943, in occasione della presentazione del suo progetto per il Welfare State, non fu autorizzato a discuterne liberamente in diretta radiofonica. Nel 1956, durante la crisi di Suez, il leader dell'opposizione Hugh Gaitskell fu ostacolato nel criticare l'invasione, e la BBC si trovò, come sempre, nel ruolo di "sussidiaria" del potere politico. Nonostante ciò, l'immagine di indipendenza della BBC è stata alimentata dall'assenza di attacchi politici troppo evidenti da parte del governo, un equilibrio che ha fatto sì che l'emittente mantenesse una reputazione di neutralità.
Con l'arrivo della televisione, la BBC si trovò ad affrontare nuove sfide legate alla produzione di contenuti e alla gestione dell'informazione. La difficoltà di distinguere tra realtà e manipolazione nei programmi televisivi è stata una questione delicata, poiché la tecnica cinematografica spesso rendeva difficile separare un'intervista ben preparata da una rappresentazione artefatta di un evento. Il caso del "mugging" dei souvenir durante l'investitura del Principe di Galles nel 1969 è uno degli esempi che ha messo in discussione l'integrità della BBC, anche se i dettagli esatti dell'accaduto restano poco chiari.
Nonostante le difficoltà, la BBC è riuscita a conservare un'illusione di indipendenza grazie alla sua politica di trasparenza e riservatezza. Un altro aspetto che ha contribuito a questa percezione di imparzialità è stato l'approccio relativamente "puro" del giornalismo televisivo, che ha cercato di evitare i compromessi morali che invece caratterizzavano altri settori dei media. Tuttavia, anche se la BBC è riuscita a mantenere una facciata di autonomia, in realtà, il governo ha sempre esercitato una forma di controllo più sottile, spesso costringendo l'emittente ad auto-censurarsi.
Nei periodi di crisi, come durante gli scontri in Ulster nel 1972, la BBC ha dovuto fare i conti con la pressione politica. In un caso emblematico, il presidente della BBC, Lord Hill, minacciò di rendere pubblico il tentativo del governo di censurare le notizie riguardanti il conflitto, riuscendo così a mantenere una parvenza di indipendenza. Questo equilibrio fragile tra la BBC e il governo dimostra quanto sia difficile stabilire chi, tra le due parti, eserciti effettivamente il potere.
Negli anni, la BBC è stata al centro di numerosi scandali che hanno sollevato dubbi sull'effettiva imparzialità e indipendenza dell'emittente. Uno dei casi più famosi riguarda il programma "Panorama" che nel 1981 investigò sui servizi segreti britannici, solo per vedersi sopprimere il proprio reportage dopo l'intervento dell'MI5. Questi esempi hanno contribuito a scalfire l'immagine di incorrotta indipendenza della BBC, mettendo in luce una realtà molto più complessa e sfumata. È interessante notare che, nonostante la reputazione di serietà, la BBC non è mai stata immune da pratiche di disinformazione. Un episodio leggendario risale al 1957, quando il programma "Panorama" trasmise un reportage falso sul raccolto di spaghetti in Svizzera, un pesce d’aprile che è entrato nella storia come l’unico caso di notizia completamente inventata.
La storia della BBC evidenzia come, pur essendo una delle istituzioni più rispettate nel mondo dei media, essa non sia stata esente da compromessi e condizionamenti esterni, anche se la sua capacità di navigare tra le pressioni politiche e le esigenze di imparzialità ha contribuito a forgiare il suo status di punto di riferimento per la libertà di stampa.
In definitiva, è fondamentale comprendere che la natura di un’istituzione come la BBC è intrinsecamente legata alla dinamica politica e sociale di un paese. Le tensioni tra libertà di espressione e controllo governativo, tra la necessità di indipendenza e l’obbligo di adattarsi alle richieste politiche, continuano a segnare il destino dei media di stato. La storia della BBC è, in fondo, una riflessione su come i media possano operare in un contesto di apparente libertà, pur essendo profondamente influenzati dalle forze politiche e dalle dinamiche di potere.
Come il concetto di "notizie false" affonda le radici nel giornalismo tradizionale e come la distorsione dell'informazione è diventata norma
Il fenomeno delle notizie false, che ha preso piede negli ultimi anni grazie all'espansione di internet e dei social media, non è un'invenzione recente. Sebbene la rete e le sue piattaforme abbiano amplificato la portata di queste storie, la distorsione dell'informazione è un fenomeno radicato da secoli nel giornalismo, specialmente nelle sue forme più sensazionalistiche. In effetti, quando si parla di notizie false online, è importante non dimenticare che il giornalismo tradizionale ha spesso ricorso a pratiche simili, sebbene in contesti e modalità diverse.
Un esempio emblematico di questa dinamica è un sondaggio pubblicato dal quotidiano britannico The Sun il 23 novembre 2015, appena dieci giorni dopo gli attacchi terroristici di Daesh a Parigi. Il giornale chiese a 1.000 musulmani britannici quale fosse il loro punto di vista riguardo ai giovani musulmani che partivano per combattere in Siria. La domanda fu formulata in maniera ambigua, suggerendo un sostegno potenziale per i jihadisti, quando in realtà, il 80% dei musulmani britannici rispose che non provavano alcuna simpatia per tali azioni. Nonostante ciò, The Sun scelse di dare risalto alla conclusione che il sondaggio suggeriva una certa simpatia per i jihadisti tra la comunità musulmana, una lettura distorta e tendenziosa dei dati.
Questa distorsione delle informazioni non è una novità del web; il giornalismo tradizionale, in particolare quello che si occupa di notizie sensazionalistiche, ha una lunga storia di manipolazione e di narrazioni fuorvianti. Tuttavia, se da un lato la stampa tradizionale ha dei meccanismi di autoregolamentazione, come i controlli da parte di organismi indipendenti (seppur spesso deboli), sul web non esistono controlli equivalenti. Le piattaforme online sono, in gran parte, gestite da entità che si considerano "comunicatori neutrali", pur avendo una grande influenza sui contenuti che vengono diffusi. Questo è uno degli aspetti cruciali della discussione sulle notizie false: le piattaforme online non si assumono una responsabilità diretta nella gestione del contenuto, il che favorisce la proliferazione di informazioni false o distorte.
Il vero problema, tuttavia, non risiede esclusivamente nella comparsa di fake news online, ma nell'incapacità del giornalismo tradizionale di distinguersi nettamente da esse. Nonostante l'auto-percezione di essere una professione al servizio della verità e della democrazia, il giornalismo si è spesso avvicinato a pratiche di distorsione della realtà. Le radici di queste distorsioni affondano in un contesto storico che precede l'era digitale, e non possono essere comprese appieno senza prendere in considerazione le tensioni ideologiche e commerciali che hanno sempre influenzato il panorama mediatico.
Le difficoltà del giornalismo moderno derivano anche dal modo in cui la professione si è sempre percepita come parte di una élite intellettuale, al pari di altre professioni "onorate" come la medicina, la legge o la scienza. Tuttavia, questa visione, purtroppo, è spesso errata, in quanto il giornalismo è sempre stato influenzato da fattori economici, politici e ideologici che ne hanno compromesso l'oggettività. Le pressioni del mercato e gli interessi degli editori, come dimostra la storia di Rupert Murdoch e dei suoi giornali, hanno spesso spinto i giornalisti a scegliere tra l'integrità professionale e il soddisfacimento di un pubblico sensazionalista.
Per quanto riguarda la digitalizzazione, la situazione è diventata ancora più complicata. Se un tempo i giornali tradizionali avevano una certa responsabilità sociale, le piattaforme digitali non sono soggette a simili obblighi, e questo ha creato un vuoto normativo che ha consentito alla fake news di prosperare. In molti casi, infatti, gli stessi algoritmi dei social media promuovono contenuti sensazionalistici e polarizzanti, che tendono ad attirare maggiore attenzione e a generare più interazioni, indipendentemente dalla veridicità dei fatti riportati.
Il problema delle notizie false non può dunque essere risolto solo con misure restrittive che colpiscano i contenuti online. La questione è più profonda e riguarda la necessità di un ripensamento del giornalismo stesso. In un mondo in cui le informazioni sono diffuse in tempo reale e senza filtri, è fondamentale che i giornalisti tornino a considerarsi come "custodi della verità", impegnati a garantire la precisione e l'integrità delle informazioni, nonostante le pressioni esterne. Non basta dichiararsi al servizio della democrazia: è necessario che il giornalismo torni a esercitare il suo ruolo di verifica e di ricerca della verità, senza cedere alla tentazione di adattarsi al mercato delle notizie veloci e sensazionalistiche.
La percezione della "verità" nel giornalismo è complessa e sfaccettata, e non è mai stata una questione puramente oggettiva. È sempre stata influenzata dalle ideologie, dai poteri economici e dalle aspettative del pubblico. Tuttavia, il compito di ogni professionista dell'informazione è quello di contrastare le distorsioni, anche quando queste provengono dalle stesse istituzioni giornalistiche a cui appartengono. La vera sfida per il giornalismo del XXI secolo è dunque quella di riscoprire la propria missione originaria di servire l'interesse pubblico, affrontando al contempo le nuove dinamiche imposte dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione dell'informazione.
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