Nel monitoraggio della corrosione industriale, esistono diverse tecniche che consentono di valutare in tempo reale la condizione dei materiali e dei sistemi esposti a processi corrosivi. Una delle più utilizzate è la tecnica della resistenza alla polarizzazione lineare (LPR), che si applica principalmente nelle colonne di distillazione del greggio o nelle raffinerie. In questo contesto, si utilizzano sonde inserite tramite un adattatore di accesso, che possono essere configurate con sonde a due o tre elettrodi. Nel caso di sonde a due elettrodi, la misurazione della corrente avviene applicando una tensione (fino a 30 mV) tra due elettrodi identici. Un ciclo di misura di circa un minuto è impiegato, durante il quale devono prevalere condizioni stazionarie, e viene applicata una seconda tensione con polarità invertita. La configurazione a tre elettrodi, invece, consente di misurare la differenza di potenziale tra l'elettrodo di lavoro e l'elettrodo di riferimento, che viene poi polarizzato di 10 mV. Questo sistema, pur permettendo la misurazione in soluzioni più resistive, può introdurre imprecisioni se la corrente selezionata è troppo alta, causando una polarizzazione oltre il limite di 10 mV.
Le sonde metalliche sono disponibili in diverse composizioni metalliche e sono collegate a barre filettate all'interno della sonda stessa. Le sonde possono essere fisse o retrattili e talvolta includono un manometro attraverso una valvola a bocca intera, abbinata a un sistema automatizzato di recupero. Le strumentazioni disponibili variano in dimensioni e forme, da dispositivi portatili a sistemi completamente automatizzati. I valori misurati sono utilizzati per determinare i tassi di penetrazione (espressi in mils per anno o millimetri per anno) per una vasta gamma di combinazioni di materiali e ambienti. Il vantaggio principale di questa metodologia è la capacità di stimare i tassi di corrosione quasi istantaneamente, permettendo una connessione immediata con i parametri del processo. Tuttavia, esistono alcune limitazioni: la tecnica è infatti applicabile solo a soluzioni conduttrici, sebbene questo possa essere mitigato considerando le resistenze. Inoltre, possono verificarsi distorsioni nelle letture a causa della formazione di depositi sulle sonde, e processi ossidanti o riducenti non correlati alla corrosione possono portare a errori di misurazione. Pertanto, è fondamentale integrare altre tecniche di monitoraggio della corrosione per la validazione e calibrazione di questo metodo.
Un’altra tecnica promettente è il rumore elettrochimico (EN), che analizza le transitorie spontanee di potenziale o corrente tra gli elettrodi metallici soggetti a corrosione. Fu Iverson il primo a riconoscere il metodo del rumore elettrochimico, che da allora è stato ampiamente documentato nella letteratura sul monitoraggio della corrosione. Le sue basi teoriche e il suo sviluppo sono trattati nel dettaglio in vari studi, con applicazioni in centrali elettriche, impianti di raffreddamento e nel rinforzo del cemento. Grazie ai progressi nelle apparecchiature elettriche, questa tecnica ha migliorato la capacità di distinguere tra transitorie genuine di tensione/corrente e rumore elettronico di fondo. L'EN è molto sensibile ai processi di corrosione localizzati, come la corrosione da pitting, la corrosione da fessure e la corrosione da stress (SCC), che le tradizionali metodologie elettrochimiche spesso non rilevano. Questa caratteristica rende l'EN una valida candidata per il controllo della corrosione e dei processi industriali, poiché è anche reattiva ai cambiamenti e alle perturbazioni all’interno di un sistema.
Nel metodo EN, le superfici degli elettrodi restano invariate rispetto ai voltaggi e correnti naturali presenti nell’ambiente, a differenza dei metodi che prevedono la polarizzazione, che sono intrinsecamente elettrochimici. In una configurazione standard, il rumore di potenziale e il rumore di corrente vengono misurati tra due elettrodi identici. Un ammetro a resistenza zero viene utilizzato per misurare la corrente. L'analisi dei dati consente di determinare sia il tasso di corrosione che il meccanismo di corrosione. I tassi di corrosione possono essere inferiti dai dati dell'EN in modo simile alle misurazioni di resistenza alla polarizzazione lineare. La resistenza al rumore (Rn) è pari alla resistenza di polarizzazione LPR (Rp), calcolata tramite un’equazione che incorpora le deviazioni standard dei segnali di potenziale e corrente EN. I dati ottenuti possono essere analizzati attraverso diverse tecniche, come l'analisi statistica, la trasformazione del dominio di frequenza per identificare la corrosione localizzata, e metodi di analisi frattale e neurale.
L'EN offre il vantaggio di essere compatibile con gli impianti esistenti che utilizzano sonde LPR standard e sistemi di accesso tradizionali. Mentre tecniche più sofisticate come la spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS) possono essere costose e richiedere competenze specialistiche per la verifica degli strumenti, l'interpretazione e l'analisi dei dati, i metodi EN possono essere implementati da aziende specializzate o da appaltatori esterni. Inoltre, i sensori utilizzati per il monitoraggio della corrosione nelle trivellazioni sono spesso dotati di una testa sensoriale composta da numerosi sensori elettrici isolati, connessi a un cavo estensibile che permette di sollevare o abbassare la testa sensoriale, trasmettendo i dati alla superficie.
Infine, il monitoraggio tramite firma del campo elettromagnetico, sviluppato per rilevare la corrosione interna nelle tubazioni e condotte, rappresenta un ulteriore approccio innovativo. Questa tecnica si basa su una serie di pin sensori, saldati sulla superficie esterna di un segmento di tubo, che misurano le variazioni minute del potenziale tra le coppie di pin applicando una corrente. Le differenze di potenziale misurate vengono confrontate con i valori di riferimento di uno spool non corroso, prendendo in considerazione le variazioni di corrente e temperatura. Con una risoluzione di 0.025 mm, il sistema può raggiungere una precisione dell'0.1% dello spessore del tubo, consentendo di monitorare aree estese. Questo approccio è stato applicato con successo nell'industria del petrolio e del gas, per rilevare e monitorare la corrosione in impianti complessi.
Quali sono i fattori determinanti nella corrosione dei metalli nel settore alimentare?
Numerose ricerche si sono concentrate sugli effetti della corrosione e sulla possibile contaminazione degli apparecchi utilizzati nel settore della lavorazione degli alimenti, mettendo in luce una serie di variabili fondamentali che ne influenzano il comportamento. Tra questi fattori spiccano la natura del metallo stesso, l’ambiente circostante e la presenza di inibitori della corrosione. Una linea guida recente, emanata dal Consiglio d’Europa, stabilisce procedure di test specifiche per garantire la sicurezza dei metalli e delle leghe che entrano in contatto con alimenti, suggerendo l’uso di acqua di rubinetto artificiale per simulare il contatto con cibi grassi e acido citrico per quelli acidi.
L’acido citrico, in particolare, si è rivelato particolarmente corrosivo per l’acciaio inossidabile, grazie alla sua capacità di formare complessi stabili con le superfici metalliche o con i metalli rilasciati, come il Cr2+, che contribuisce a un arricchimento più lento del film passivo rispetto ad altri ioni bivalenti. Studi su acciai inossidabili di tipo 316L evidenziano come le zone saldate siano maggiormente suscettibili alla corrosione puntiforme rispetto al metallo base, anche se la presenza di proteine del siero del latte può mitigare leggermente questo fenomeno. Sotto agitazione, però, le proteine favoriscono un significativo rilascio di metalli, confermando la complessità delle interazioni tra materiali e componenti organici in ambienti alimentari.
La resistenza alla corrosione varia sensibilmente tra differenti tipologie di acciaio inossidabile: mentre l’acciaio duplex 2507 mostra il tasso di corrosione più basso in acqua di rubinetto artificiale e acido citrico, il 316L si distingue per una maggiore dissoluzione, risultando meno resistente rispetto al 304L e al duplex. In condizioni di alta temperatura, simili a quelle di lavorazione di cibi grassi, la concentrazione degli ioni rilasciati diminuisce per assenza di corrosione generalizzata; tuttavia, analisi fotoelettrochimiche indicano una minore stabilità dei film passivi formatisi sull’acciaio 304L e 316L, dovuta alla dissoluzione di ferro e cromo.
La proliferazione batterica e il deposito di biofilm sulle superfici metalliche rappresentano un ulteriore fattore che accelera la corrosione attraverso la formazione di celle di aerazione differenziale. L’uso di biocidi e l’incorporazione di rame nella composizione dell’acciaio 304L sono strategie adottate per ridurre la presenza batterica e la suscettibilità alla corrosione puntiforme. Inoltre, trattamenti superficiali come la sabbiatura e la finitura satinata influenzano la resistenza alla corrosione, modificando il potenziale di pitting e la durata degli apparecchi.
Anche le leghe di alluminio, come la AA3104-H19 utilizzata nelle lattine per bevande, mostrano vulnerabilità in presenza di ioni cloruro e rame, con effetti sinergici che abbassano il potenziale di corrosione e causano corrosione localizzata. La passivazione con acido citrico o nitrico migliora la resistenza dell’acciaio 304, ma la qualità e la provenienza degli agenti passivanti, come nel caso dell’acido citrico derivato da scarti di limone, possono influenzare significativamente le prestazioni anticorrosive.
La corrosione puntiforme, tipica negli acciai inossidabili esposti ad anioni aggressivi quali il cloruro, si manifesta attraverso la nucleazione, la crescita metastabile e stabile delle cavità, spesso in corrispondenza di inclusioni di ossidi o solfuri di manganese. Le variazioni chimiche locali intorno a queste inclusioni contribuiscono all’innesco del fenomeno, confermato da analisi spettroscopiche. In soluzioni a pH lievemente acido, l’acido citrico induce il rilascio di metalli attraverso la dissoluzione degli ossidi superficiali, favorita dalla complessazione indotta dai ligandi presenti nel mezzo. L’assorbimento di specie citrato dipende fortemente dal pH, risultando più rapido tra 3.1 e 6.4, con un rilascio metallico che si stabilizza dopo la prima ora fino a 24 ore di esposizione.
La selezione del materiale gioca un ruolo cruciale nella progettazione di impianti resistenti alla corrosione, in grado di sopportare igienizzazioni frequenti e l’esposizione a sostanze chimiche alimentari. L’alluminio, per esempio, è inadeguato in presenza di acidi minerali, mentre l’acciaio inossidabile deve essere impiegato con cautela in ambienti contenenti sali o cloro. Nel settore alimentare, l’utilizzo di inibitori chimici potenti è limitato per motivi di sicurezza, rendendo essenziale un design funzionale degli impianti: superfici lisce, curve e saldate sono preferibili per facilitare la pulizia e il drenaggio. L’acciaio inossidabile è generalmente il materiale d’elezione per le attrezzature di lavorazione, mentre il calcestruzzo è preferito per pavimenti e pareti.
È importante comprendere che la corrosione nei contesti alimentari è un fenomeno multifattoriale, in cui la chimica dei materiali, le condizioni operative, le interazioni con sostanze organiche e microbiologiche, nonché il trattamento superficiale, interagiscono in modo complesso. La prevenzione efficace non può prescindere da un approccio integrato che includa la scelta oculata dei materiali, la manutenzione continua e il controllo delle condizioni ambientali e microbiologiche. Solo attraverso questa visione olistica è possibile garantire la sicurezza, la durabilità e l’integrità degli impianti alimentari, minimizzando al contempo il rischio di contaminazioni da rilascio metallico.
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