Durante il mio periodo a Cambridge, mi trovai a fare i conti con una serie di tradizioni accademiche e sociali che, sebbene affascinanti, si distinguevano per la loro unicità e talvolta per le loro stranezze. Una delle prime cose che mi colpì fu l'uso del titolo "Mr." per i docenti, anche quando questi erano in possesso di un PhD. Mi fu spiegato che il titolo di "Dottore" era riservato solo a coloro che avevano ottenuto il dottorato a Oxford o Cambridge, e che i titoli accademici provenienti da altre università non venivano riconosciuti con la stessa solennità, almeno fino a pochi anni prima del mio arrivo. Una pratica che, a quanto pare, non esisteva più ormai da qualche tempo.

Un altro cambiamento significativo avvenuto negli anni precedenti riguardava il riconoscimento dei titoli per le donne. Fino al 1948, infatti, le donne non ricevevano lauree ufficiali a Oxbridge, pur avendo sostenuto gli stessi esami dei loro colleghi maschi. Le lezioni di "Tripos" che frequentavo erano principalmente per il secondo anno e alcune per i cosiddetti corsi introduttivi per il terzo anno, destinati a chi avrebbe intrapreso l'ultimo anno accademico. Questi corsi non erano esaminati per il secondo anno.

Tra i corsi che seguivo c'era quello di Professor Davenport, neo-incumbente della cattedra di Rouse Ball, che parlava della teoria dei numeri. Davenport, un ex studente di Cambridge, aveva da poco lasciato l'Università di Londra per insegnare a Cambridge. Le sue lezioni furono per me illuminanti. Un altro docente, il Dr. Lapwood, insegnava elasticità e gravitazione ed era un insegnante molto metodico. Con il tempo, sviluppai il mio metodo di preparazione, che consisteva nello scrivere ordinatamente tutte le note delle lezioni, completandole con informazioni mancanti o dettagli aggiuntivi.

Cambridge, purtroppo, era anche un luogo in cui le disuguaglianze di genere erano tangibili. Le università avevano solo tre college femminili (Girton, Newnham e, in seguito, New Hall) rispetto ai più di venti college maschili. Ma, nonostante ciò, la figura della studentessa di Cambridge era tradizionalmente vista come quella di una donna intelligente, ma non necessariamente attraente. Ricordo una battuta che circolava all'epoca: un professore di geografia descriveva un’isola con una forte disparità nel numero di uomini e donne e aggiungeva che "anche le donne di Cambridge riuscirebbero a trovare marito lì". La battuta non fu ben accolta, e le studentesse si alzarono in segno di protesta. Il professore rispose con una battuta ancora più tagliente: "Non correte! La barca per l'isola non è ancora partita."

A Cambridge, c'era anche l'attrattiva della Cambridge Union, un club prestigioso frequentato da molte figure di spicco, e frequentato soprattutto da uomini, almeno ai miei tempi. Entrai a far parte della Union fin dal primo anno, godendo dei suoi vantaggi, come tè pomeridiani, pranzi e cene a prezzi contenuti. Ma la cosa che davvero mi affascinava erano i dibattiti. Gli oratori invitati, tra cui anche politici famosi, indossavano il "white tie" e seguivano una protocollo simile a quello della Camera dei Comuni. La qualità delle discussioni era incredibile: gli studenti non esitavano a intervenire, presentando prove documentali e a volte contraddicendo anche politici di spicco. Le discussioni che ascoltavo mi davano l’impressione di assistere alla culla della democrazia, quella che ha dato forma al sistema parlamentare britannico. Purtroppo, un simile spazio per la preparazione di futuri parlamentari non esiste in India.

Nel frattempo, mentre ero a Cambridge, mio cugino Morumama partiva per Mosca grazie a una borsa di studio del Governo Indiano. Morumama era un matematico, con una passione per l'algebra, e l'opportunità di lavorare sotto la guida del celebre algebraista Kurosh lo aveva entusiasticamente spinto a partire. Durante il suo periodo in Unione Sovietica, mi scrisse molte lettere in cui, pur lodando il livello accademico, criticava le difficili condizioni di vita e il pesante controllo sulle libertà civili. Quando gli suggerii di visitare Cambridge durante le sue vacanze, rifiutò dicendo che, vedendo la libertà che vi regnava, si sarebbe sentito ancora più frustrato per la sua condizione a Mosca.

Nel frattempo, a Cambridge, durante il secondo anno, avevamo avuto la fortuna di ospitare Mr. P.L. Deshpande e sua moglie Smt. Sunitabai, che avevano deciso di fare una breve visita alla città. Fu un piacere per noi mostrar loro i luoghi più famosi di Cambridge, raccontando aneddoti divertenti e ascoltando le acute osservazioni di Deshpande.

Il periodo a Cambridge mi ha regalato una serie di esperienze che hanno ampliato i miei orizzonti non solo accademici, ma anche sociali e culturali. L'importanza delle tradizioni, l'incontro con persone provenienti da contesti molto diversi e l'immersione in un ambiente che valorizza tanto il pensiero critico quanto la libertà di espressione sono aspetti che continuano a influenzarmi.

È fondamentale comprendere che Cambridge non è solo una delle università più prestigiose al mondo per il livello accademico, ma anche un microcosmo sociale dove le dinamiche di classe, genere e politica giocano un ruolo di rilievo. Se da un lato l’accesso all’istruzione era riservato a una élite, dall’altro lato, la cultura che si respirava nella città stimolava la crescita intellettuale e la critica verso i poteri costituiti. L’esperienza di Cambridge, per quanto singolare, ha avuto un impatto indelebile, non solo sulle mie scelte professionali, ma anche sulla visione che oggi ho del mondo.

Come la vita quotidiana a Cambridge ha influenzato il mio percorso accademico e personale

Nel 1961, la BBC iniziò a trasmettere una serie di fantascienza intitolata A For Andromeda, basata sul romanzo di Fred Hoyle e John Eliot. Fu un buon esempio di fiction scientifica e ottenne un notevole successo, contribuendo anche a portare alla ribalta l'attrice Julie Christie, appena uscita dalla scuola di recitazione. In quel periodo, ero alle prese con l’esame di guida. Avevo già fallito due volte, e la mia fiducia stava svanendo, quando la madre di Barbara, la signora Clarke, mi suggerì di esercitarmi con la sua auto, una Hillman Minx. Mi permise di fare pratica ogni mattina, portandola da casa all’ufficio. Essendo titolare di una patente da neopatentato, potevo guidare con il cartello ‘L’ sul veicolo. Mi serviva per accumulare esperienza e sentirmi più sicuro. Nonostante la preparazione, il mio tentativo successivo fu ancora un fallimento. Tuttavia, incoraggiato dalla signora Clarke, insistetti, e alla quarta prova, finalmente superai l’esame con ottimi risultati.

Un altro momento saliente della vita a Cambridge in quegli anni fu la visita di Dr. Arun Mahajani, che lavorava a Huntingdon. Spesso veniva a trovarci, restando per qualche ora o per una notte, e ci invitava a cene sontuose nei ristoranti locali, indiani o cinesi. Questo periodo vide anche il nostro trasferimento dai locali provvisori del 'Hut' a spazi più ampi, a seguito dell’incendio che distrusse una parte dei vecchi laboratori di Metallurgia. Poiché non era più necessaria quella zona, George Batchelor riuscì a ottenere i locali per il DAMTP, e così ci trasferimmo in un ambiente più confortevole. Condivisi il mio ufficio con altri due colleghi: Brent Wilson, proveniente dalla Nuova Zelanda, e Chandra Wickramasinghe, che raramente veniva in ufficio, preferendo lavorare dal suo alloggio collegiale.

Nel frattempo, avevo consegnato un saggio per il Smith’s Prize, un concorso prestigioso di Cambridge, e aspettavo ansiosamente i risultati. Sapevo che c’erano altri studenti molto preparati in competizione, ma con mia sorpresa, venni selezionato come uno dei tre vincitori. Questo premio non solo mi confermò come ricercatore promettente, ma portò anche grande gioia nella mia famiglia e nei miei amici, inclusi Dr. G.S. Mahajani e Sir R.P. Paranjpye, due delle figure più importanti tra i matematici indiani laureati a Cambridge. Il premio suscitò così tanta attenzione che persino durante una cena al 'High Table' di Fitzwilliam, il Censor, Dr. Grave, propose un brindisi in mio onore, un gesto che mi toccò profondamente.

Con l’aumento della mia situazione economica, sentii che era il momento giusto per acquistare una macchina. Avevo finalmente una patente e potevo permettermi un’auto usata. Con l’aiuto di Barbara e della sua famiglia, trovai una Vauxhall Velox del 1953, che funzionava bene e costava solo £ 95. Mi affiliassi anche all’AA (Automobile Association), una mossa che si rivelò saggia, dato che subito dopo acquistai la macchina, scoprii che la legge richiedeva che mantenessi le luci di parcheggio accese durante la notte se il veicolo fosse stato parcheggiato in strada. Questa piccola disattenzione mi costò più volte la batteria scarica, ma l’AA mi aiutò ogni volta con il loro servizio di avviamento d’emergenza. Dopo alcuni inconvenienti, trovai una zona più comoda per parcheggiare, vicino ai laboratori Cavendish, dove non c’era bisogno di accendere le luci di parcheggio. La macchina divenne il nostro mezzo per viaggi nella campagna circostante, così come per le gite a Londra.

Viaggiare con la macchina, fermandosi a prendere il tè in piccoli paesi, divenne una piacevole routine. In una di queste occasioni, partecipai a un evento a Londra organizzato dal Maharashtra Mandal, dove mi venne conferito un piccolo onore. L'auto, oltre a essere un mezzo pratico, divenne anche un simbolo della mia crescente indipendenza.

A Cambridge, ogni esperienza quotidiana, dalla guida all’acquisto di una macchina, era più di una semplice attività; ogni dettaglio contribuiva al mio percorso accademico e personale. Non era solo la ricerca matematica che plasmava la mia vita, ma anche gli incontri quotidiani, gli amici, le difficoltà e le soluzioni creative che mi portavano avanti. Ogni passo, anche il più semplice, come imparare a guidare o ricevere un premio accademico, sembrava essere una conferma che stavo facendo la cosa giusta.

È importante notare che in un contesto come Cambridge, la vita quotidiana non è mai separata dal contesto accademico. Ogni successo personale o professionale, anche il più insignificante in apparenza, ha un impatto sul proprio percorso futuro. Le esperienze quotidiane diventano il terreno fertile su cui si costruiscono le fondamenta della carriera accademica. Non solo gli sforzi intellettuali sono cruciali, ma anche le relazioni sociali, le opportunità di crescita personale e le sfide quotidiane sono altrettanto determinanti. La vita a Cambridge, dunque, è una fusione costante di accademia, vita sociale e esperienze quotidiane che modellano il futuro del ricercatore.

La Vita di un Fellow: Privilegi, Incontri e Momenti di Riflessione

Nel mio soggiorno a Cambridge, fui sorpreso dall'ospitalità e dalla generosità di alcuni colleghi, in particolare da Forster, che mi aveva offerto un appartamento situato in una posizione privilegiata, con una vista spettacolare sulla Cappella. La sistemazione era confortevole, e sebbene il mio incarico fosse di natura modesta, mi sentii onorato. L'appartamento aveva una campanella di emergenza collegata alla stanza di Forster, un uomo di 84 anni che, a causa di occasionali attacchi, necessitava di assistenza medica rapida. Tuttavia, durante il mio soggiorno, non ci fu mai necessità di intervenire, e questo fu un sollievo per me. Nonostante la sua natura riservata, Forster mi aveva scelto come vicino e questo gesto mi commosse profondamente. Era una persona che non cercava compagnia, ma che mi accolse spesso per il tè del pomeriggio, invitandomi a chiamarlo semplicemente "Morgan". Mi sentivo un po' esitante a farlo, dato il divario d'età, ma il suo invito mi fece sentire parte del suo mondo.

Un altro collega che mi colpì fu George Salt, entomologo e Fellow della Royal Society. Nonostante fosse un "vero inglese" nel senso più tradizionale, la sua curiosità per i "forestieri" lo rendeva un uomo interessante e piacevole da frequentare. Spesso ci sedevamo fianco a fianco nella sala del vino, dove la conversazione spaziava dall'India al Pakistan, dai fiori alle farfalle. La sua passione per la calligrafia e i suoi bellissimi acquerelli furono una finestra su un mondo di raffinata sensibilità artistica. Sua moglie, Joyce, era altrettanto ospitale, e la loro casa divenne un rifugio di risate e discussioni per me.

Il mio incarico a Cambridge era legato alla borsa di studio che portava il nome di Berry e Ramsey, quest'ultimo un filosofo di grande spessore intellettuale, ma che morì prematuramente. Suo padre, A.S. Ramsey, era un matematico rispettato, e i suoi libri erano stati tra i miei riferimenti, sia in India che a Cambridge. A causa di questa connessione, mi venne chiesto di fare una foto ufficiale per l'album dei Fellows del Collegio, foto che doveva essere scattata dalla rinomata ditta fotografica "Ramsey and Muspratt", co-gestita dalla vedova di Frank Ramsey. Il fatto che potessi vivere questi privilegi, come cenare al "High Table" o passeggiare sui prati del Collegio senza la toga dopo il tramonto, mi faceva sentire come se avessi finalmente raggiunto un certo livello di "privilegio intellettuale" tanto ambito da molti.

Le opportunità per un Fellow a Cambridge erano numerose. Una delle più particolari era la possibilità di organizzare cene e pranzi nelle proprie stanze del Collegio, con menù selezionati personalmente. Era un privilegio che mi permise di invitare amici e colleghi per serate conviviali, durante le quali si discuteva di scienza, filosofia e altri argomenti di interesse comune. A uno di questi inviti partecipò anche Mr S.D. Deshmukh, un ex collega di famiglia che avevo conosciuto sotto il soprannome di "Ramrao". La sua presenza a uno dei banchetti di Lenten mi diede l'opportunità di condividere con lui la ricchezza dell'esperienza cambridgeiana.

Essere il Fellow più giovane comportava anche qualche privilegio che non usai mai, come la possibilità di portare a casa il vino rimasto dopo la sessione di dolci e vino nella sala del Collegio. Nonostante non bevessi alcol, cedetti sempre questo diritto ai Fellows più giovani che mi circondavano. C'erano poi le grandi cene del Collegio, che si tenevano durante l'anno e che rappresentavano occasioni di grande importanza sociale. Durante una di queste, prevista per luglio, speravo di poter invitare i miei genitori, la cui visita era ormai imminente.

Il loro viaggio era stato possibile solo grazie a un'incredibile mole di burocrazia. Mio padre, presidente della Commissione del Servizio Pubblico del Rajasthan, aveva dovuto ottenere un permesso speciale per viaggiare, e l'emissione dei passaporti richiese molto tempo. La difficoltà maggiore, tuttavia, fu legata al "P-form", un permesso necessario per i viaggiatori indiani, senza il quale non si potevano acquistare i biglietti aerei. Nonostante questi ostacoli, grazie all'aiuto di Ramrao e alla corrispondenza con la Reserve Bank of India, i passaporti arrivarono in tempo, e mio padre ottenne un permesso di sei settimane, anche se ciò significava una riduzione della sua pensione.

Nel frattempo, un altro imprevisto cambiò i miei piani. Ricevetti un invito da Tommy Gold, uno dei principali protagonisti della teoria dello stato stabile dell'universo, per partecipare a una conferenza negli Stati Uniti. La conferenza, organizzata a Ithaca, avrebbe trattato la natura del tempo, un argomento affascinante e carico di implicazioni scientifiche e filosofiche. Gli inviti erano limitati a un numero ristretto di fisici di fama mondiale, e la partecipazione sarebbe stata un'opportunità unica. Nonostante l'incertezza legata alla visita dei miei genitori, decisi di partecipare, organizzando il mio viaggio in modo da tornare a Cambridge in tempo per accoglierli.

Tutto ciò accadde mentre stavo completando la mia tesi, che doveva essere esaminata da Hermann Bondi e Dennis Sciama, entrambi presenti alla conferenza di Cornell. Fu deciso che il mio esame di viva voce si sarebbe svolto lì, un evento piuttosto insolito, ma che per me rappresentò un'opportunità straordinaria di confronto con due dei più grandi esperti del mio campo.

Per chi vive esperienze simili, è importante comprendere che, oltre agli onori e ai privilegi che una posizione accademica in una università prestigiosa come Cambridge può offrire, ci sono anche sfide quotidiane legate alla burocrazia, alle relazioni interpersonali e alle difficoltà logistiche, che spesso vengono trascurate nel racconto delle carriere accademiche. In effetti, il percorso verso il riconoscimento professionale è costellato non solo da opportunità, ma anche da situazioni complesse che richiedono pazienza, flessibilità e la capacità di navigare tra le aspettative altrui e i propri desideri.

Come affrontare le sfide della genitorialità e le nuove dinamiche familiari

Uno sguardo al bambino che esitava a prendere tra le braccia, incantato dalla grandezza della sua testa, è un ricordo vivido che segnò i primi giorni di paternità. La sorpresa di un neonato con una testa sproporzionatamente grande rispetto al corpo è comune, come ho spiegato a chi si meravigliava. I bambini nascono con una testa più grande in proporzione rispetto al corpo rispetto agli adulti, un dato che ci colpisce ogni volta. La fotografia che scattai di Morgan con Geeta probabilmente fu l'ultima della sua vita. Un mese dopo, il 7 giugno 1970, morì, lasciando un vuoto profondo, visto che avevamo condiviso sette anni di discussioni, spettacoli teatrali, pranzi e filosofie di vita. La sua morte fu un evento nazionale, celebrato da tanti, anche dai leader indiani che gli tributarono omaggi per il suo legame con l'India.

Nel frattempo, imparavamo a conoscere meglio Geeta, che stava crescendo. La sua tendenza a svegliarsi al minimo rumore era una caratteristica che conservò per molto tempo. Ricordo la nostra prima cena con amici, quando, dopo aver messo Geeta a letto con il suo rituale serale di bagnetto e pappa, pensavamo di avere finalmente tempo per godere della compagnia. Ma la campanella della porta la svegliò, e l'aspettativa di una serata tranquilla svanì. Non avevamo considerato tutti gli imprevisti nel pianificare la serata, una lezione che imparai: non esistono piani perfetti, e la vita con un neonato è un continuo adattamento alle sue necessità.

Nel mio caso, imparare a essere un padre di supporto mi portò a fare la maggior parte delle cose legate alla cura di Geeta. Cambiare i pannolini, darle da mangiare, metterla a letto cantandole una ninna nanna, non erano compiti che molti padri indiani avrebbero svolto allora, ma per me divenne naturale. E così, mi preparai ad affrontare anche il ruolo di nonno con un’esperienza già consolidata. Scoprimmo anche come rendere più pratico il trasporto di Geeta in auto, trovando un posto sicuro per la sua navetta nel nostro piccolo veicolo, un'idea che, purtroppo, non rispetterebbe più gli attuali standard di sicurezza.

Viaggiare con un bambino piccolo portò nuove sfide. Durante il simposio dell'IAU a Uppsala, dove ero stato invitato, Geeta e Mangala vennero con me. Mangala si trovò a dover rinunciare a partecipare ad alcuni eventi per prendersi cura di Geeta. Ma alla fine, trovò il supporto di una collega che si offrì di fare la babysitter per permetterle di partecipare alla cena di gala. A volte, la realtà dei genitori che viaggiano con bambini piccoli è fatta di compromessi e imprevisti.

Quando Geeta compì sei mesi, decidemmo di trasferirla nella sua stanza. Nonostante il nostro tentativo di renderla autonoma, le sue urla alla notte ci segnarono. Seguendo i consigli di Dr. Spock, fummo costretti a resistere alle sue lacrime per farle capire che il suo lettino era il posto giusto per lei. Quei momenti di durezza erano dolorosi, ma necessari. Un'altra fase della genitorialità che comporta sfide che vanno affrontate con pazienza e determinazione.

Con il tempo, arrivò anche la decisione di comprare una casa, proprio come fecero Chandra e Priya. La vita continuava a evolversi, e così le relazioni con gli amici e la famiglia. Nonostante i momenti di difficoltà, c'era una costante voglia di crescere insieme, di affrontare la genitorialità con l'entusiasmo di una nuova scoperta. Ricordo con affetto i giochi tra Geeta e il piccolo Anil, un compagno di giochi che divenne molto vicino a lei. Nonostante le preoccupazioni per i viaggi, il continuo cambiamento, i piccoli ostacoli quotidiani, c’era sempre una certezza: ogni fase della vita porta con sé nuove esperienze, inaspettate e meravigliose, che bisogna vivere fino in fondo.

Oggi, più che mai, comprendiamo l'importanza di non dimenticare il valore della pazienza e dell’adattamento continuo che la genitorialità comporta. È fondamentale capire che ogni giorno con un bambino è diverso, e che le difficoltà che sembrano insormontabili in un primo momento sono in realtà occasioni per crescere insieme. La sicurezza del bambino, la serenità della famiglia, sono priorità assolute, ma anche la capacità di affrontare gli imprevisti con un sorriso, o almeno con una buona dose di resilienza, è ciò che rende ogni viaggio unico.