La pancreatite acuta (PA) è una condizione medica che richiede una diagnosi tempestiva e un trattamento adeguato. L'imaging gioca un ruolo fondamentale nell'identificare la gravità della malattia e nel monitorare il suo progresso. La tomografia computerizzata (TC) è considerata la modalità di imaging più utile e ampiamente accessibile per valutare la pancreatite acuta, grazie alla sua capacità di fornire informazioni dettagliate sulla localizzazione delle lesioni pancreatiche e sulle complicazioni associate. Sebbene ci siano altre tecniche, come l'ecografia e la risonanza magnetica, la TC rimane il gold standard per la valutazione della PA, in particolare nei casi gravi.

Nel contesto diagnostico, l’aumento dei livelli di amilasi e lipasi sieriche è spesso utilizzato per confermare la presenza di PA. L’amilasi, tuttavia, ha una sensibilità inferiore rispetto alla lipasi per la diagnosi di pancreatite acuta, dato che rimane elevata per un periodo di tempo inferiore. La lipasi, d'altra parte, mostra un aumento più prolungato, rendendola più sensibile e specifica per la diagnosi di PA. È importante notare che i livelli di amilasi possono essere falsamente elevati in altre condizioni non pancreatiche, come le patologie delle ghiandole salivari o le malattie epatobiliari.

Esistono molteplici cause di iperamilasemia e iperlipasemia che non sono direttamente correlate alla pancreatite acuta. Queste includono malattie come la parotite, la pancreatite cronica, la macroamilasemia e patologie sistemiche come l'insufficienza renale o la gravidanza ectopica. In tali casi, l'aumento di amilasi e lipasi nel sangue può trarre in inganno, e un'attenta valutazione clinica è necessaria per evitare diagnosi errate.

Nonostante l'importanza di questi marker sierici, è fondamentale comprendere che i livelli di amilasi e lipasi non sono correlati con la gravità della pancreatite acuta. Le misurazioni seriali di questi enzimi non sono utili per prevedere l'outcome del paziente né per modificare il trattamento. La prognosi della PA deve essere valutata utilizzando sistemi di scoring clinico che considerano vari fattori, tra cui la presenza di insufficienza d'organo, le complicazioni locali e sistemiche, e le comorbidità del paziente.

Il sistema di classificazione di Atlanta rivisitato nel 2012 distingue la pancreatite acuta in tre categorie: lieve, moderata e grave. La pancreatite lieve è caratterizzata dall'assenza di insufficienza d'organo e da un decorso autolimitante. La forma moderata presenta insufficienza d'organo transitoria o complicazioni locali o sistemiche senza persistenza di insufficienza d'organo. La pancreatite acuta grave implica una persistente insufficienza di uno o più organi per oltre 48 ore e comporta un rischio maggiore di mortalità. La valutazione dell’insufficienza d'organo si basa sul sistema di punteggio Marshall modificato, che prende in considerazione la funzione cardiovascolare, respiratoria e renale.

Uno degli strumenti più utilizzati per valutare la gravità della pancreatite acuta è il sistema di punteggio BISAP (Bedside Index of Severity in Acute Pancreatitis), che si basa su cinque criteri clinici: l'azotemia (BUN > 25 mg/dL), il livello di coscienza compromesso, la presenza di una risposta infiammatoria sistemica (SIRS), l'età superiore ai 60 anni e la presenza di un versamento pleurico. Un punteggio BISAP ≥3 è fortemente correlato con un aumento del rischio di complicazioni gravi, necrosi pancreatica e mortalità.

La rilevazione dei marker sierici per la prognosi della PA è stata oggetto di numerosi studi, ma al momento solo tre sono clinicamente utili: la proteina C-reattiva, l'ematocrito e il BUN. La proteina C-reattiva è un indicatore affidabile della pancreatite grave 48 ore dopo l'ammissione, mentre livelli di ematocrito ≥44% e un aumento del BUN entro le 24 ore sono predittivi di necrosi pancreatica e insufficienza d'organo. Se questi valori non diminuiscono con un'adeguata idratazione, la probabilità di sviluppare complicazioni gravi aumenta.

Inoltre, è importante comprendere che il rischio di mortalità nei primi giorni di pancreatite acuta è spesso legato alla sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS), che può portare a complicazioni gravi come insufficienza respiratoria acuta, insufficienza renale e shock. L'alcolismo è un fattore di rischio significativo per la pancreatite acuta grave, poiché può portare a necrosi pancreatica e la necessità di ventilazione artificiale. Inoltre, l'obesità è stata associata a una maggiore gravità della malattia e a un rischio maggiore di mortalità.

Le complicazioni sistemiche principali della pancreatite acuta includono la insufficienza respiratoria, che si manifesta come sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) e che interessa circa il 20% dei pazienti con pancreatite acuta grave. Il versamento pleurico esudativo, che può essere diagnosticato tramite un aumento della amilasi nel fluido pleurico rispetto al siero, è un altro segno comune di gravità. L'insufficienza renale è causata da ipoperfusione renale che porta a necrosi tubulare acuta, mentre lo shock è dovuto alla distribuzione anomala dei fluidi e alla vasodilatazione periferica. Infine, l'ipercheia, derivante dalla necrosi delle cellule insulari o dall'iper-glucagonemia, è una complicazione metabolica frequentemente osservata.

Quando è necessaria la sorveglianza endoscopica per il cancro gastrointestinale?

La sorveglianza endoscopica è una pratica fondamentale nel monitoraggio e nella prevenzione dei tumori gastrointestinali. Essa si applica non solo a pazienti con diagnosi di condizioni premaligne o maligne, ma anche a individui apparentemente sani, al fine di identificare precocemente tumori o lesioni precancerose. L’endoscopia comprende tecniche come l’esofagogastroduodenoscopia (EGD), la colonscopia, l’ecografia endoscopica (EUS) e la capsula endoscopica wireless, utilizzate rispettivamente per monitorare l’esofago, il colon e altre strutture interne. La sorveglianza si rivela particolarmente cruciale in relazione ai tumori gastrointestinali (GI), poiché molte neoplasie digestive hanno lesioni precoci ben definite che, se trattate tempestivamente, possono ridurre significativamente la mortalità.

Il cancro del colon-retto (CRC) è una delle principali cause di morte per tumore, con stime che indicano 151.030 nuovi casi e 52.580 decessi solo negli Stati Uniti nel 2022. La sua incidenza è in declino grazie all’individuazione precoce delle lesioni premaligne, che ha portato a un abbassamento dei tassi di mortalità. Questo è reso possibile dalle attuali tecniche endoscopiche che permettono di rilevare e trattare le lesioni precoci, diminuendo così l’incidenza di nuove diagnosi. Situazioni simili si riscontrano per altri tumori gastrointestinali, che mostrano anche essi stadi precoci identificabili tramite endoscopia, favorendo la prevenzione del cancro e delle sue complicanze.

L’esofago è uno degli organi principali in cui la sorveglianza endoscopica gioca un ruolo cruciale. Il carcinoma esofageo, che si presenta principalmente sotto due forme — adenocarcinoma esofageo (EAC) e carcinoma esofageo a cellule squamose (SCC) —, è maggiormente diffuso negli uomini rispetto alle donne. Tra i fattori di rischio principali per l’EAC si annoverano la malattia da reflusso gastroesofageo (GERD), l’obesità e la presenza dell’esofago di Barrett (BE), una condizione in cui l’epitelio squamoso esofageo viene sostituito da epitelio colonnare. L’EAC è in aumento, mentre SCC è più comune a livello globale, sebbene meno frequente negli Stati Uniti rispetto ad altri paesi. Tra i principali fattori di rischio per l’SCC figurano il consumo di alcol, il fumo e l’infezione da papillomavirus umano (HPV).

L’esofago di Barrett rappresenta un fattore di rischio significativo per l’EAC, poiché è l’unico precursore noto di questo tipo di carcinoma. Il monitoraggio di questa condizione tramite endoscopia è quindi cruciale. Durante l’endoscopia, la mucosa di colore salmone all’interno dell’esofago dovrebbe essere attentamente esaminata. Per la diagnosi di BE è necessario che ci sia almeno 1 cm di epitelio colonnare nell’esofago. Le tecniche di cromoscopia endoscopica, come l’acido acetico diluito o l’endoscopia elettronica con lunghezze d'onda strette, sono utilizzate per evidenziare pattern mucosi e vascolari che possono suggerire la presenza di displasia o neoplasia precoce.

La sorveglianza endoscopica dovrebbe essere effettuata regolarmente nei pazienti con BE, in particolare in coloro che presentano fattori di rischio come GERD cronica (con sintomi almeno settimanali per 5 o più anni). Gli individui con una storia familiare di BE o EAC, fumo, obesità o altri fattori, dovrebbero sottoporsi a screening endoscopici periodici. In caso di risultati negativi, il controllo non è necessario a meno che non vengano rilevati segni significativi di esofagite. Le linee guida suggeriscono che la frequenza della sorveglianza dipende dalla lunghezza del BE e dalla presenza di displasia.

Nel caso di displasia di basso grado (LGD), la gestione prevede una valutazione approfondita tramite un patologo esperto, poiché la progressione a EAC è possibile. La terapia endoscopica per eradicare la displasia è una delle opzioni, ma è importante discuterne con il paziente i pro e i contro di tale trattamento. Quando la displasia è di alto grado (HGD), il rischio di progressione a EAC è significativamente elevato, con una percentuale del 6% all'anno. I pazienti con HGD devono essere trattati prontamente, e la sorveglianza intensiva è essenziale per monitorare qualsiasi cambiamento.

In sintesi, la sorveglianza endoscopica rappresenta una strategia cruciale per la prevenzione del cancro gastrointestinale. La tempestiva individuazione di lesioni premaligne come il BE può salvare vite e ridurre l’incidenza di tumori pericolosi come l’EAC. Il trattamento e la gestione delle lesioni precoci richiedono una collaborazione stretta tra il medico, il patologo e il paziente. Il monitoraggio regolare e la corretta gestione di queste condizioni possono rallentare il progresso verso il carcinoma esofageo e altre neoplasie gastrointestinali.

Come si riconoscono le metastasi epatiche, il carcinoma epatocellulare e gli emangiomi con ecografia, TC e risonanza magnetica?

Le metastasi epatiche presentano generalmente un’attenuazione ridotta rispetto al parenchima circostante nelle scansioni TC senza mezzo di contrasto. La maggior parte delle metastasi sono ipovascolari, come quelle derivate da adenocarcinomi del colon, e risultano meglio visibili nella fase porto-venosa (PVP). Le metastasi ipervascolari, come quelle da carcinoma renale, carcinoide, tiroideo, melanoma e tumori neuroendocrini, si evidenziano maggiormente durante la fase arteriosa epatica (HAP), che dovrebbe essere aggiunta all’imaging in PVP per migliorare la rilevazione delle lesioni. È comune osservare metastasi calcificate nei carcinomi mucinosi del colon.

La risonanza magnetica mostra in generale metastasi ipointense nelle sequenze T1-pesate e iperintense in T2-pesate, eccetto per quelle emorragiche o da melanoma che risultano iperintense anche in T1. L’uso di gadolinio dinamico incrementa la sensibilità diagnostica delle metastasi epatiche.

Per quanto riguarda il carcinoma epatocellulare (HCC), spesso si manifesta in pazienti con malattia epatica sottostante, principalmente cirrosi, e con una prevalenza maggiore nei maschi. All’ecografia, l’HCC può apparire variabile, con lesioni più piccole (<5 cm) tipicamente ipoecogene e lesioni più grandi di ecogenicità mista. La presenza di infiltrazione vascolare è frequente, e il Doppler può mostrare trombosi tumorale con flusso arterioso.

Alla TC senza contrasto, l’HCC è di solito ipodenso, ma può apparire iperdenso in fegati steatosici; solo una minoranza presenta calcificazioni. Durante la fase arteriosa epatica, i tumori piccoli (<3 cm) mostrano un enhancement omogeneo, mentre quelli più grandi presentano enhancement eterogeneo con aree necrotiche centrali. L’imaging in fase arteriosa aumenta la rilevazione delle lesioni fino al 30% rispetto alla sola fase porto-venosa e senza contrasto. Nella fase porto-venosa l’HCC tende a risultare iso- o ipodenso rispetto al parenchima, ma deformazioni di contorno o invasione vascolare possono essere gli unici segnali evidenti.

La risonanza magnetica permette spesso di distinguere noduli rigenerativi, displastici e HCC. L’HCC appare solitamente ipointenso in T1, ma può essere iso- o iperintenso in base alla quantità di grasso e fibrosi interna. Un aumento del segnale T2, presente in oltre il 70% dei casi, e dimensioni superiori a 2–3 cm sono indizi importanti. La comparsa di un "nodulo nel nodulo", cioè un nodulo iperintenso in T2 all’interno di una massa ipointensa, è fortemente indicativa di HCC in un nodulo displastico. Le immagini con gadolinio evidenziano un marcato enhancement in fase arteriosa, un washout tardivo e una pseudocapsula periferica in fase porto-venosa, riflettendo l’aumentato flusso arterioso e ridotto flusso portale correlati alla malignità. Anche il gadolinio con acido gadoxetico può essere utile per l’identificazione.

Gli emangiomi cavernosi epatici all’ecografia si presentano come masse iperecogene ben definite in un fegato normale, con assenza di flusso visibile al Doppler nella maggior parte dei casi, salvo la presenza occasionale di un vaso di afflusso. In presenza di steatosi epatica possono apparire ipoecogeni o con ecogenicità mista.

Alla TC, gli emangiomi sono isodensi rispetto ai vasi sanguigni senza mezzo di contrasto, con il 20% che può presentare calcificazioni. Il pattern caratteristico è un enhancement nodulare periferico nella fase arteriosa, seguito da un riempimento centrale lento durante la fase porto-venosa, fino a diventare isodenso rispetto al sangue. Questo enhancement persiste nel tempo, ma lesioni grandi possono non completare il riempimento. In rari casi, l’aspetto può essere centrale o uniforme, mimando lesioni maligne.

La risonanza magnetica mostra emangiomi ben definiti con segnale ridotto in T1 e aumentato in T2, a volte pari o superiore a quello della bile nelle sequenze T2 pesate più intense. L’enhancement dinamico con gadolinio riproduce il pattern osservato alla TC.

Il flusso ematico normale nei vari vasi epatici si riflette nelle caratteristiche del Doppler: le vene mostrano un flusso continuo a bassa velocità che varia con la respirazione, la vena porta ha un flusso epatopeto tra 15 e 18 cm/s, le vene epatiche mostrano un flusso trifasico e pulsatile verso la vena cava inferiore, mentre l’arteria epatica presenta un flusso ad alta velocità sistolica e bassa resistenza diastolica, variabile col ciclo cardiaco.

È fondamentale per il lettore comprendere come la valutazione integrata di più modalità di imaging, inclusi i diversi tempi di acquisizione contrastografica e le caratteristiche di segnale nelle diverse sequenze RM, consenta una diagnosi più accurata e una migliore definizione della natura delle lesioni epatiche. La conoscenza delle peculiarità anatomopatologiche e vascolari di ciascun tipo di lesione permette di interpretare correttamente le immagini e indirizzare la gestione clinica. La variabilità di presentazione e la possibile sovrapposizione dei quadri richiedono un approccio multidisciplinare e, talvolta, l’impiego di tecniche avanzate o imaging funzionale per completare la valutazione diagnostica.